"Zorba il Buddha", di Lakshen Sukameli
Sucameli dirada progressivamente la materia dello snodo narrativo, affrancando i luoghi filmati e le atmosfere create in vortici visivi davvero capaci di inquietare e soprattutto di evocare la materialità sinusoidale di uno sguardo sempre come sospeso, a volte quasi etereo.
In Zorba il Buddha si intravede la sagoma di un cinema sbozzato, scarnificato in superficie, quasi essiccato, come se lo sguardo di Sucameli non riuscisse mai a chiudere un'inquadratura a staccare al momento giusto. In questo senso si respira un'indefinitezza che ha luogo sin dall'inizio (il ritorno a casa del protagonista Loris dopo il servizio militare), quando le tracce fisiche del luogo raccontato si imprimono sul set per certi versi spiazzante (il film è girato in Turchia) e lo sguardo di Sucameli prova ad organizzarsi attorno a segni ombrosi e sfuggenti. Se allora da un lato si intravede la fascinazione provata dallo stesso regista nei confronti della dialettica di forze cui è sottoposto Loris (da un lato la lettura appassionante di Zorba il Greco, dall'altro la seduzione esercitata dal buddhismo), è anche vero che Sucameli pare compiere attorno ai perimetri del racconto delle deviazioni che contengono in sé tracce anche destabilizzanti che smuovono i corpi, trasportandoli lungo margini franosi e pericolanti. In sequenze come quella relativa all'uccisione del fratello del protagonista si respira infatti una istintualità di fondo che fa volentieri a meno della ricercatezza formale e del dècor intrigante per affondare lo sguardo in traiettorie che sfiorano le vertigini vissute dai protagonisti (l'incontro tra Loris e la giovane Ritu che lo spinge ad intraprendere una sorta di viaggio iniziatico), senza quella ricercatezza troppo facile dell'esotico e del mistico che punteggiava ad esempio un film neanche troppo dissimile come Tutta la conoscenza del mondo di Puglielli. Sucameli infatti dirada progressivamente la materia dello snodo narrativo, affrancando i luoghi filmati e le atmosfere create in vortici visivi davvero capaci di inquietare (la storia parallela dell'amico musicista di Loris che vende i diritti delle canzoni) e soprattutto di evocare la materialità sinusoidale di uno sguardo sempre come sospeso, a volte quasi etereo, proprio per la capacità di formulare un linguaggio scevro da ogni tentazione forzatamente naturalistica. Vi è sotto questo profilo l'esigenza di percorrere una via quasi programmaticamente lontana dagli standard odierni del nostro cinema, una qualche tentazione didascalica (la citazione scritta che anticipa i titoli di testa sembra quasi scolpire le intenzioni autoriali del regista) e in generale un approccio al cinema che disconosce ogni tentazione calligrafica, per mettere davvero in moto il senso percettivo dello spostamento, della perdita, del ritrovamento.
Regia: Lakshen Sukameli
Sceneggiatura: Lakshen Sukameli
Fotografia: Andrea Locatelli
Montaggio: Patrizio Marone
Scenografia: Gaspare Dagar Barone
Costumi: Donato Citro
Interpreti: Sid Meier (Loris), Elisabetta Cavallotti (Ritu), Emilio De Marchi (Emilio), Roberto Zibetti (Andrea), Alessia Barela (Martina), Luca Lionello (Tommy), Niseem Onorato (Marco), Pierpaolo Lovino (Vasco), Patrizia Pezza (Silvia), Massimo Malucelli (Gato)
Produzione: Navala Productions
Distribuzione: Caro Film
Durata: 92'
Origine: Italia, 2004
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