"Phone", di Ahn Byung-ki

Le teorie sull'horror ruotano intorno al concetto di “orrore”; ma l'iconografia pubblicitaria cinematografica – locandine, slogan, trailer – non fa teoria: fa “pratica”, cioè concreta tangibilità. Quindi “Phone” lancia una sfida: fare paura. Ci riesce?

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L'idea che l'anima di una persona che muore di morte violenta continui a vagare tormentata (gli spiriti come stay behind, "rimasti indietro") si associa, in questo standard dell'horror, ad un'altra teoria fondamentale sui fantasmi: quella che li vuole insoddisfatti finché l'azione improvvisamente interrotta dal sopravvenire della morte non riesca a concludersi. La vita di una giornalista, autrice di un coraggioso quanto pericoloso reportage su una rete di pedofili, e destinataria di continue e misteriose telefonate, si intreccia in Phone con l'improvvisa alterazione nel comportamento di una bimba di cinque/sei anni, figlia di suoi amici; apparizioni, segni, coincidenze e luccicanze daranno alla giovane donna la certezza di avere a che fare con un mistero di origine paranormale.


Phone è un film di genere. Le teorie sull'horror ruotano intorno al concetto di "orrore"; ma l'iconografia pubblicitaria cinematografica, nei suoi molteplici aspetti – locandine, slogan, trailer – non fa teoria: fa "pratica", cioè concreta tangibilità. Phone si presenta come un horror che "in Oriente ha battuto tutti i record d'incasso", convoca lo spettatore e lo sfida ad avere "il coraggio di rispondere", preparandolo "al terrore assoluto". Cioè, rende esplicita la sua missione: fare paura. Visto sotto questa luce, il film di Ahn assolve al suo compito con maggiore o minore successo, in proporzione al grado di assuefazione che lo spettatore ha maturato nei confronti dell'armamentario del genere, sfoderato massicciamente dall'autore sudcoreano. In ogni caso, il confronto tra regista (horror) e spettatore è sempre impari: lo stimolo dell'aritmia cardiaca non è poi così difficile da suscitare, specie nei confronti di chi si presenta di fronte allo schermo con l'intenzione di immergersi nella "realtà fantasmatica" del testo cinematografico.

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Se Ahn vince (o perde) la sfida della paura, di certo invece non accetta quella dell'originalità. Accantonando per un momento le incongruenze, le inverosimiglianze, i depistaggi, i flashback ruvidi e didascalici ai quali è esposta la storia, Ahn – che scrive e dirige – mette in scena una dimensione domestica dell'angoscia, assieme ad una attenzione scolastica ed invadente per il sonoro e ad una contrapposizione tra innocenza puerile e malvagità demoniaca (dimostrandosi, in questo modo, affetto dalla "sindrome Sadako") – per di più basandosi su una genesi "tecnologica" della storia molto à la page – che, di certo, non lasciano spazio all'innovazione del genere né all'elaborazione personale da parte dello spettatore.

 


Titolo originale: Phone
Regia: Ahn Byung-ki
Sceneggiatura: Ahn Byung-ki, Lee Yu-Jin
Fotografia: Mun Yong-shik
Interpreti: Ha Ji-Won (Ji-won, la giornalista), Kim Yoo-Mi (Ho-jeong, l'amica), Cho Woo-Je (Chang-hoon, il marito dell'amica), Eun Seo-woo (Yeong-ju, la bambina)
Produzione: Buena Vista Korea
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 100'
Origine: Corea del Sud, 2002

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