Monster
Racchiusa in un gioco di controllati equilibri, scalfiti a misura, c'è la figura della pluriomicida Wuornos. Il ritratto è calibrato, freddo, privo di giudizi etici. La realtà si presenta nella sua indecidibile doppiezza e presenta una Theron gianobifronte: vendicatrice assassina e vittima di una società menzognera che elargisce gratuitamente promesse
Deformazioni epidermiche, rigettate diversità, patologie assassine.
Questo è quello che il primo film della Jenkins porta sullo schermo ed è anche quello che penetra la filigrana della pellicola, macchia il fotogramma, entra nell'alchimia delle immagini. Contamina tanto l'estetica della visione (quella di una Theron sformata dal trucco e da quindici chili di troppo) quanto la dimensione intimistica dei personaggi, mostri subumani di efferata freddezza.
"Tratto da una storia vera"…
Quella dell'incontro tra Aileen Wuornos (Charlize Theron), una ragazza che sin da piccola è stata costretta a prostituirsi per vivere, e Selby Wall (Christina Ricci), sfortunata omosessuale in una famiglia di cattolici oltranzisti. Un giorno Aileen, sulla soglia della disperazione, entra in un locale per gay dove, ad attenderla, c'è un'innocente ragazzetta dalla faccia tonda e dagli occhioni grandi che ha solo voglia di parlare con qualcuno. Le due bevono e ridono tutta la notte, mentre Selby corteggia la compagna con dolcezza, le accarezza il viso macchiato brutalmente da lentiggini e le sussurra che è bella. Aileen, pur non essendo omosessuale, trova nella ragazza una ragione per vivere, quell'amore unico che riesce a smuovere le montagne e che spesso ti porta a fare ciò che non vorresti, o meglio, ciò che avresti sempre voluto ma che non hai mai avuto il coraggio di fare.
Racchiusa in un gioco di controllati equilibri, scalfiti a misura, c'è la figura della pluriomicida Wuornos. Il ritratto è calibrato, freddo, privo di giudizi etici. La realtà si presenta nella sua indecidibile doppiezza e presenta una Theron gianobifronte: vendicatrice assassina e vittima di una società menzognera che elargisce gratuitamente promesse proprio per la loro inconsistenza.
In una strada a senso unico, un contesto ovattato di medioevale predestinazione, l'unico sentimento funzionale a colorire la disperazione è l'amore egoistico, sentimento prostituito sia dall'una, che lo fa di mestiere, sia dall'altra, che si fa pagare a caro prezzo la sua presenza. E la sensazione di provvisorietà, di eccessiva, disperata, abnegazione al sacrificio, di inconsistenza delle promesse pervade e condanna tanto il film quanto la vita. Un dramma confessato dall'inizio assoggetta a sé qualsiasi altra verità e, paradossalmente, non lascia spazio alla tematica di cui ha la pretesa di occuparsi: la diversità. È un film smaccatamente e fintamente documentaristico che riesce per la rinuncia all'eccesso. Niente flashback melò, solo la fredda realtà delle parole che raccontano un passato di violenze. Nessun abuso di perversioni visive, facile strada di conquista dell'occhio, ma solo razionali, brevi e spiegate esecuzioni. Nessun finale autocelebrativo, ma solo una chiusura definitiva, che non ricerca la riflessione, ma ha la pretesa di attestazione, ossia quella di raccontare una "storia vera".
Gli unici momenti di respiro sono dati dalle inquadrature rubate alla presenza dominante della Theron, quelle di una camaleontica Christina Ricci, fantastica trasformista che regala prodezze interpretative e pallide espressioni d'ingenua perversione. 'Mostro' dai tempi della Famiglia Addams, illumina di bianco con la sua candida pelle le claustrofobiche atmosfere; di un blocco audiovisivo abilmente orchestrato; senza vie d'uscita.