Le ricette della signora Toku, di Naomi Kawase
Nel film della cineasta giapponese rispetto al passato stavolta si avverte, come non mai, un senso di pesantezza, un eccesso di costruzione impensabile
Le cose richiedono il loro tempo. È come per l’an, la marmellata di fagioli rossi, gli azuki: occorre pazienza, cura, dedizione, disponibilità d’ascolto. E riscoprire la lentezza vuol dire ritornare in sintonia con il ritmo del mondo, con il suo senso profondo.
Sentaro gestisce un piccolo negozio di dorayaki, i dolci tradizionali. Più che una passione, il suo lavoro è un obbligo, un mezzo per riscattare i debiti di una vita difficile. Ma, a fargli cambiare prospettiva, è una garbata, anziana signora, Tokue, intenzionata a trovar lavoro. Per convincere Sentaro ad assumerla, gli offre quanto può di meglio: una straordinaria marmellata di fagioli preparata da lei, un’armonia di sapori magica. Scocca la scintilla ed è un successo strepitoso. Tra i clienti abituali c’è una ragazza, una liceale, Wakana, alla ricerca di una famiglia “vera”. Il legame tra i tre diviene fortissimo. E Tokue, con la sua gentilezza, insegna ai suoi nuovi compagni a guardare la vita con altri occhi. Finché non comincia a diffondersi la voce della sua malattia: il morbo d Hansen. La lebbra lascia i suoi segni e il suo stigma. Ma, ancora una volta, il dolore e la crudeltà diventano un attimo, sono solo una parte del ciclo, un piccolo istante di drammaturgia che accenna traiettorie destinate a incurvarsi altrimenti. In fondo, qui non ci può essere tragedia. Perché non esistono colpe da scontare o vendette da compiere.
La Kawase si muove sempre lungo gli stessi territori. Quelli in cui i percorsi interiori sono segnati dalle epifanie della natura, in cui i fenomeni sono essi stessi parte dell’essenziale. Le ferite esistono, ma si rimarginano in splendide cicatrici sulla pelle. Cinema di immersioni e di risalite, di apnee e respiri profondi, di parti dolorosi e necessari.
Eppure stavolta si avverte, come non mai, un senso di pesantezza, un eccesso di costruzione impensabile. Se nei film delle Kawase il cuore delle emozioni si è sempre svelato nelle cose stesse, nell’attimo in cui lo sguardo metteva in comunicazione la vita delle persone con una natura più grande, complessa e armoniosa, ora la poesia mostra tutti i segni della fatica. È il risultato di una ricerca addirittura ostinata, che lascia una sensazione di artificio spiazzante. Confrontandosi con il romanzo di partenza, di Durian Sukegawa, la Kawase prova a far rientrare tutte le tracce nei motivi più personali e sinceri della sua ispirazione. Ma non riesce a trovare la strada, soprattutto quando si confronta con la malattia, la realtà di una condizione umana e sociale di diversità. Si affida alle parole, agli attori, al fascino innegabile delle sue immagini, che hanno la straordinaria capacità di cambiar pelle e grana, come se vivessero in simbiosi con il cielo e la sostanza stessa della luce. Ma ogni scelta sembra più l’applicazione di una formula abituale, che la risposta a un’urgenza. E su tutto sembra calare un’ombra di manierismo.
Titolo originale: An
Regia: Naomi Kawase
Interpreti: Masatoshi Nagase, Kirin Kiki, Kyara Uchida, Miyoko Asada, Etsuko Ichihara
Distribuzione: Cinema
Durata: 113′
Origine: Giappone 2015