Snatch – Lo strappo
E’ buia, crepuscolare, notturna. Impermeabile alla luce, grigia e post-tatcheriana: Londra underground, labirinto sotterraneo di giochi e scommesse, violenza e clandestinità. Territori londinesi, lande desolate dove sembrano aggirarsi i disperati protagonisti di un romanzo di Martin Amis o di un’epopea post-moderna di Don De Lillo.
Snatch – Lo strappo, secondo lungometraggio di Guy Ritchie, è sgangherato affresco geo-politico, arcipelago di inquadrature multi –culturali. I pazzi spostati di Lock & Stock parlano lingue diverse, sono koinè di povertà e disperazione, zingari di tutto il mondo.
Il cinema di Guy Ritchie non brilla certo per originalità – sullo sfondo sono riconoscibili stereotipi ed archetipi dei pulp movie in chiari stile Tarantino, troppi espedienti narrativi usati ed abusati dal nuovo cinema americano e lontani echi dalle opere di Emir Kusturica – ma conquista per rapidità, ritmo, movimento e osmosi continua di inquadrature. Luci e colori.
Tinte e viraggi rubati alle acide e barocche vignette di Todd McFarlane, cartoline londinesi spedite dagli antri abitati dai tenebrosi personaggi creati dalla matita di Frank Miller. Così Snatch è soprattutto strappo stilistico, fuga verso il fumetto, vertigine di atmosfere e registri narrativi.
Quasi impossibile riannodare le fila di questa folle caccia ad un diamante perduto, galleria di volti e gesti icastici (dal micidiale uppercut di Brad Pitt, alla mimica di Benicio Del Toro, al divertente slang brutalizzato da un ridicolo doppiaggio in italiano), cross – over di popolazioni in salutare mutazione.
Flussi migratori che ridisegnano i confini delle periferie di una delle più grandi metropoli europee, trasformando sobborghi in paesaggi surreali, incontri clandestini di boxe in danze zingaresche.
L’ ”impolitico”, e spesso superficiale, Guy Ritchie riesce, con questo patch-work di stili e forme, ad andare oltre il semplice divertissement, dipingendo un murales sporco e disordinato, confuso e frammentario. Lontano dagli ordinati e convenzionali ritratti di un cinema britannico stanco ed incapace di rinnovarsi, Snatch si rivela operazione “politica”, messa a fuoco di realtà marginali e criminali, passaggi di non-persone: così il sociologo Alessandro Dal Lago definisce flussi migratori, moltitudini di genti come soffi, in ostinata peregrinazione, senza patria né documenti.
Titolo originale: Snatch
Regia: Guy Ritchie
Sceneggiatura: Guy Ritchie
Fotografia: Tim Maurice-Jones
Montaggio: Jon Harris
Musica: John Murphy
Scenografia: Hugo Luczyc-Wyhowski
Costumi: Verità Hawkes
Interpreti: Benicio Del Toro (Franky Quattrodita), Dennis Farina (cugino Avi), Vinnie Jones (Pallottola al dente Tony), Brad Pitt (Mikey O’Neil), Rade Serbedzija (Boris Lametta), Jason Statham (Il Turco), Alan Ford (Testarossa), Mike Reid (Doug il Capo), Robbie Gee (Vinny), Lennie James (Sol), Stephen Graham (Tommy)
Produzione: Matthew Vaughn per Columbia Pictures Corporation/SKA Films
Distribuzione: Columbia Tristar Films Italia
Durata: 104’
Origine: Gran Bretagna/Usa, 2000