A Quiet Place – Giorno 1, di Michael Sarnoski

Lucidissimo cifrario che svela quanto il franchise sia soprattutto un grande saggio morale sulle psicosi di un contemporaneo inebedito dai dati. E Sarnoski si conferma straordinario umanista

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Tornare indietro per raccontare l’inizio della storia, ma anche, forse soprattutto, per svelare l’ideologia, il simbolismo, che la regge. A Quiet Place – Giorno 1 pare un grande cifrario, che nel suo fuggire nel passato della saga apocalittica instacult firmata da John Krasinski, nel portare in campo quel passato finora lasciato fuori scena dal racconto, in realtà svela quanto il franchise sia, in fondo, uno dei grandi saggi morali del contemporaneo, fondato sulle psicosi di un XXI secolo blandito dai dati e alla costante ricerca dell’autenticità emotiva.

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Ma della narrazione moraleggiante il franchise ha soprattutto il passo didattico che qui fa capolino fin dalla storyline. Sam ed Eric, lei giovane poetessa che sta attraversando un momento difficile della sua vita, lui pacato studente di legge in trasferta a New York, si ritrovano infatti nella Grande Mela nel momento in cui inizia l’invasione di mostri alieni ciechi ma dall’udito finissimo. Io due devono dunque fare squadra per sopravvivere ai predatori e per raggiungere scappare dalla città. Sam, però, vorrà solo un’ultima fetta di pizza presa nel suo locale preferito. Perché la ragazza, depressa, priva di stimoli, è malata terminale. La sua malattia, però, non viene mai raccontata, quasi fosse una patologia sconosciuta o, al contempo, conosciutissima, come se tutti, inconsciamente, ne fossimo affetti: un’apatia emotiva che rende inerti nei confronti del mondo che ci circonda, sorta di silenziosa peste del 2000.

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È ancora, fieramente, antimoderno, A Quiet Place – Giorno 1, anche nel modo produttivo, con John Krasinski che fa un passo indietro e cede il campo al bravo Michael Sarnoski, uno dei cineasti più umanisti del cinema recente, e alle sue ossessioni, ai primissimi piani, alla macchina costantemente all’altezza occhi, agli exploit apollinei del quotidiano, al racconto senza filtri dell’emotività dei personaggi. Di Sarnoski, alla produzione interessa soprattutto l’approccio con l’immaginario, che fin da Pig smonta, rimonta, riscrive fino a riscoprirne il potenziale laboratoriale.

Così quando il genere è in campo diviene soprattutto strumento, filtro, per la lettura critica di spazio, tensioni, reazioni dei personaggi al contesto in cui sono immersi. Non è un caso, forse, se A Quiet Place – Giorno 1 pesca come al solito da Carpenter, sfiora Matheson ma guarda soprattutto allo straordinario Cloverfield, altro film “traumatico” del cinema contemporaneo di cui però Sarnoski riattraversa certe sequenze centrali senza il filtro del camcoder. Come a dire che non c’è modo di mitigare la ferita, che l’epidemia è già entrata nel vivo. È in effetti tutto labilissimo, anche la solita cinefilia, colta un attimo prima della fine da uno sguardo che in effetti, appena può, sposta l’Apocalisse fuori campo, lo frammenta in tante piccole scene madri che sono fiammate ispiratissime, ed è affascinato soprattutto dagli uomini, dai loro gesti improvvisi, disperati, insensati. Ma soprattutto è legatissimo a certe divagazioni calorose, tra performance di marionette, numeri di magia, esibizioni jazz evocate nei ricordi, momenti di solidarietà e (ri)conoscenza tra i protagonisti.

L’umanismo di Sarnoski è a tal punto il motore del racconto che lentamente A Quiet Place – Giorno 1 non ha paura di trascendere la sua natura, di divenire una sorta di rom com terapeutica retta dalla ricerca delle sensazioni primarie, in cui Sam ed Eric collaborano per far sì che la protagonista percepisca ancora “qualcosa” del mondo che la circonda: il sapore di una pizza, l’odore dei libri, il battito del cuore di New York, il fascino di un brano di Nina Simone.

Ecco, una volta venuti a patti con il suo desiderio di essere chiaro a tutti i costi, di raccontare per filo e per segno la direzione di ogni suo ragionamento, il film di Sarnoski rende chiara la sua volontà di chiudere il cerchio simbolico della saga. Lo fa, certo, portando il fattore tempo in primo piano, raccontando l’inizio della psicosi e l’umanità alle prese con l’unica apocalisse possibile oggi, quella che ci ferma, che non ci fa più esprimere ma svela (ancora) certe pratiche di resistenza alla fine. E qui si torna all’inizio, a John Krasinski che, si scriveva, con il primo capitolo prende un film classico e lo gira come se lo guardassimo per la prima volta, riflesso, rievocato, dalla Sam della straordinaria Lupita Nyong’o, che durante l’apocalisse riscopre le cose come se le vedesse per la prima volta.

Titolo originale: A Quiet Place – Day One
Regia: Michael Sarnoski
Interpreti: Djimon Hounsou, Lupita Nyong’o, Alex Wolff, Joseph Quinn, Thea Butler, Jennifer Woodward, Sunjay Midda, Elijah Ungvary, Alexander John, Zay Domo Artist
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 100′
Origine: USA, 2024

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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