Acid, di Just Phillipot

Il regista francese è sempre più affascinato da una dimensione quasi “biblica” del disastro: ineluttabile, crudele, incomprensibile. Ma anche antihollywoodiana. Peccato perda la presa sul finale

--------------------------------------------------------------
CORSO ESTIVO DI CRITICA CINEMATOGRAFICA DAL 15 LUGLIO

--------------------------------------------------------------

Ha un sapore sempre più veterotestamentario il cinema di Just Phillipot, un’atmosfera confermata da questo Acid, secondo tassello di un ciclo non ufficiale che prova a incrociare l’ecologia con un’idea di disaster movie dall’impronta quasi biblico-millenarista.

--------------------------------------------------------------
CORSO DI PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE CINEMATOGRAFICA: ONLINE DAL 15 LUGLIO

--------------------------------------------------------------

Così se nel precedente Lo sciame, l’umanità doveva contrastare un’invasione di aggressive cavallette, qui un padre diviso tra la nuova compagna bloccata in un ospedale e l’ex moglie e la figlia adolescente dovrà fare di tutto per proteggere i suoi cari da un’improvvisa ondata di piogge mortali. Ma non si tratta solo dello spunto che al centro del racconto. È qualcosa che si annida nei materiali, nella messa in scena di Phillipot, in certi spunti che sanno di diversivi, come il bel prologo, che racconta una rivolta di fabbrica utilizzando solo i formati spuri e dunque grezzi, quasi monacali, legati alle immagini POV degli smartphone degli operai.

----------------------------
UNICINEMA QUADRIENNALE:SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

Ancor meglio, si tratta di qualcosa di immateriale, che non si vede ma che pare farsi strada tra gli spazi vuoti del fotogramma. Beninteso, Acid è un film dall’impostazione classicissima che però sa lavorare tra i punti d’attesa del racconto, usare i ritmi dei silenzi, i tempi del montaggio, il fuori campo (puntellato, ad esempio, da stralci di notiziari sempre più drammatici) per costruire gradualmente la tensione ma soprattutto l’urgenza della salvezza.

Acid è attento a calibrare i suoi passi, forse per la sua natura primordiale di cortometraggio ma forse perché consapevole di ciò che non può fare, degli spazi con cui gli sarebbe proibitivo interagire, quelli degli exploit hollywoodiani à la Emmerich. Meglio, piuttosto, ottimizzare una CGI spesso con l’acqua alla gola solo per sequenze irrinunciabili (quella sul ponte, ad esempio, davvero d’impatto) e lavorare sulla dimensione emotiva delle immagini, lasciando emergere da esse e raccontando l’ineluttabilità del disastro, l’inesplicabilità della perdita, il non senso della tragedia. Ecco, in questo senso il film pare provenire dal non tempo del Vecchio Testamento. Perché si muove su un reticolo valoriale, insegue un’ideologia severa, rigorosa come quell’immaginario, che raccoglie in modo non scontato spunti, suggestioni, a cui la rassicurante Hollywood sembra sempre meno interessata.

Peccato che il modello inseguito da Phillipot fatichi a risultare sostenibile sulla lunga distanza. A tratti Acid ha in effetti bisogno di rifiatare, di ideare nuove svolte narrative e, forse, anche nuovi modi di distinguersi da qualsiasi legame con matrici precedenti. A volte quindi si chiude quindi negli spazi domestici in cui i sopravvissuti fanno il punto prima delle prossime tappe della fuga. Ma così il racconto finisce per perdere la spinta, per riscoprirsi europeo in un modo tutto sommato pigro, inviluppandosi in un dramma di coppia tra invidie e rancori mai davvero fuori fuoco ma tutto sommato privo di guizzi, ravvivato semmai da un Guillaume Canet sempre centrato. Il punto, semmai, è che Phillipot è forse un po’ troppo attratto dalla sfera famigliare e lascia indietro troppi dettagli, vicende, linee di una narrazione che si dimentica forse troppo presto di voler essere corale. E forse proprio la questione famigliare sulla lunga distanza rischia di portare il racconto quasi fuori strada se è vero che tutto l’ultimo atto pare il tentativo di Phillipot di (ri)fare, ancora, La strada di McCarthy o il solito The Last Of Us. Ma malgrado l’attenzione con cui continua a seguire i protagonisti o la cura nella gestione delle linee del racconto, all’epilogo manca tutta la giocosità, tutta la spinta eversiva che finora hanno caratterizzato il racconto fino a quel momento e che ora procede stanco, distratto, autoconvincendosi, forse, di voler “mostrare agli americani come si fa” ma in realtà fermandosi un attimo prima di gettare la simbolica miccia.

 

Titolo originale: Acide
Regia: Just Phillipot
Interpreti: Guillaume Canet, Lætitia Dosch, Patience Munchenbach, Marie Jung, Martin Verset, Valentijn Dhaenens, Céline Groussard, Nicolas Delys
Distribuzione: Notorious Pictures
Durata: 99′
Origine: Francia, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.8
Sending
Il voto dei lettori
3 (1 voto)
----------------------------
SCUOLA DI CINEMA TRIENNALE: SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative