Alamar, di Pedro González-Rubio
Alamar ci ha messo ben otto anni, passaggi festivalieri e riconoscimenti, e ha richiesto l’impegno congiunto di tre case di distribuzione, per vedere finalmente il buio delle sale italiane
Roberta e Jorge si sono conosciuti in Messico e durante i tre anni e mezzo del loro amore hanno concepito Natan, che ha quasi sei anni e si appresta a iniziare la scuola a Roma, dove vivrà con sua madre. Il padre di Jorge, Matraca, è un vecchio pescatore che vive in una piccola palafitta sul mare e va tutti i giorni a pescare con metodi tradizionali – quelli tramandati per generazioni – lungo la barriera corallina del Banco Chinchorro, al largo della penisola dello Yucatán. Un giorno Jorge e Natan si imbarcano alla volta della palafitta, verso la barriera e gli orizzonti del Mar dei Caraibi: il piccolo Natan passerà un po’ di giorni con il nonno e il papà immerso nella natura, tra gli animali e i riti quotidiani di uno stile di vita ancestrale, sincronizzato al solo ritmo marino, prima di iniziare una nuova vita in Italia.
Alamar ci ha messo ben otto anni, anni di passaggi festivalieri e riconoscimenti, e ha richiesto l’impegno congiunto di ben tre case di distribuzione, per vedere finalmente il buio delle sale italiane. E il documentarista Pedro González-Rubio (Inori, Icaros), in quest’opera datata 2009 di cui cura sceneggiatura, regia, fotografia e montaggio, compie un primo passo deciso – e decisivo – che si approssima e varca il confine tra documentaristico e finzionale, ricercando e trovando un’espressività visiva che diviene un tutt’uno con quella emotiva. Non è solo la cura compositiva delle immagini e la loro loquacità estetica a fare di Alamar un’interessante e coinvolgente film-racconto, con quelle inquadrature che fotografano suggestioni, paesaggi naturali e umani mai in contrapposizione ma sempre in armonia – e l’uomo, non a caso, non è mai elemento centrale, viene ricercato attraverso i dettagli, le azioni, o inglobato entro l’ambiente che abita, che vive, che percorre. Sono le intenzioni e l’essenza stessa di Alamar, in continuo scambio e sovrapposizione tra presa diretta della realtà e rappresentazione del verosimile, a renderlo un racconto coinvolgente nella sua immediatezza: nessun costrutto, nessun artificio, solo infinite distese di mare, di campi turchini, l’alito della brezza, i rumori, perfino gli odori della natura (ancora) incontaminata, che penetrano senza filtri attraverso i nostri sensi di spettatori.
Solo due personaggi, Jorge e Natan, alla ricerca di un contatto emotivo e materiale che fermi e traghetti ricordi, certezze, radici e senso di appartenenza, caratteri ambedue rotanti attorno alla figura-perno di Matraca, depositaria della saggezza, dell’immutabile, del trasmissibile. Tre personaggi, tre generazioni a confronto, posti entro uno spazio misterioso ma familiare, osservati e carezzati dallo sguardo di una mdp rispettosa e complice, nell’intento di mostrare, di catturare un mistico connubio tra transitorio ed eterno, tra materiale e spirituale. Di fermare l’inesorabile sparizione di un mondo ideale quanto vivo e pulsante, che respira ritmi e leggi che non siamo più in grado di vedere, o che forse abbiamo solo dimenticato come ascoltare.
Titolo originale: Id.
Regia: Pedro González-Rubio
Interpreti: Jorge Machado, Roberta Palombini, Natan Machado Palombini, Néstor Marín “Matraca”
Origine: Messico 2009
Distribuzione: Ahora! Film, Barz and Hippo, Rossosegnale
Durata: 73’