Allégorie citadine, di Alice Rohrwacher e JR

Un balletto surrealista che abbraccia tutta la storia del cinema senza bisogno di far vedere nessun fotogramma. Ma la lettera d’amore arriva dritta al cuore. Un gioiello. VENEZIA81. Fuori Concorso.

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Dall’altopiano dell’Alfina, tra Lazio e Umbria di Omelia contadina a Parigi di Allégorie citadine. Alice Rohrwacher e JR tornano a collaborare dopo quattro anni in un altro lavoro che ridefinisce il tempo e lo spazio nella metropoli francese. Parigi diventa frammento surrealista, composizione visivo-sperimentale che si smonta e si ricostruisce sotto lo sguardo dello spettatore, impazzito balletto meccanico di un lavoro che riprende, non tanto da un punto di vista cinefilo, le forme pionieristiche del cinema muto che convivono con una rappresentazione alienante del post-moderno 2.0. Negli incredibili, straordinari 21 minuti di Allègorie citadine dopo ogni stacco di montaggio c’è un cambio di velocità, di movimento. In mezzo alla folla ci sono una madre e un bambino di sette anni, Jay. Lei sta andando a un provino in un teatro e sta facendo tardi. Porta con sé il figlio perché ha la febbre. Il regista che sta preparando lo spettacolo è Léos Carax. Da li parte un incredibile dialogo, di un cineasta che dialoga con Rohrwacher e JR in questa versione dell’allegoria della caverna esposta da Platone nella Repubblica.

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Defense d’afficher c’è scritto su un muro. Cosa si nasconde lì dietro? Quante altre possibili illusione possono nascere, prendere forma e seguire un itinerario visivo-concettuale-cinematografico autonomo? In Omelia contadina c’era un funerale, quello simbolico dell’agricoltura tradizionale con dei cartonati che raffiguravano dei contadini senza nome. In Allégorie citadine Jay subisce, anzi diventa protagonista attivo, di una mutazione, burattinaio/cartoon di un gioco delle ombre.

Come Carax di C’est pas moi, anche qui il cinema è solo uno dei tanti luoghi della visione. La caverna buia come la sala. La luce diventa l’attrazione, l’ipnosi. Inghiotte, deforma, ridefinisce. Tra Ruttmann di Sinfonia di una grande città (l’inizio) e Michel Gondry. La creatività diventa gioco ma soprattutto la gioia nella fabbrica di illusioni che poi riescono ad essere autonome e andare per conto proprio. Il calcio di Jay alla lattina della Coca-Cola è solo l’unico istante da cui il ragazzino esce dal suo nascondiglio. Allégorie citadine abbraccia tutta la storia del cinema senza bisogno di far vedere nessun fotogramma. Ma la lettera d’amore di Alice Rohrwacher e JR arriva dritta al cuore. Un gioiello.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.6
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