#AnneFrank. Vite parallele, di Sabina Fedeli e Anna Migotto

#AnneFrank. Vite Parallele fa da intermediario tra le vecchie e le nuove generazioni al fine di mantenere vivo il ricordo dell’Olocausto. In sala da oggi per tre giorni

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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“Le vite parallele non si incrociano, ma sono così vicine che quasi si sfiorano. Passano il testimone alle nuove generazioni sognando il futuro. Anne non voleva smettere di ricordare e sperare. Nel retro della sua copertina scriveva: sii gentile e abbi coraggio.”

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Non sono passati che pochi decenni dagli indicibili orrori della seconda guerra mondiale, eppure il loro ricordo si fa già sbiadito nelle memorie delle persone: c’è persino chi arriva a metterne in discussione la veridicità.
#AnneFrank. Vite Parallele si pone l’obiettivo di tenere vivi quei ricordi attraverso le ultime testimonianze di cinque sopravvissute all’Olocausto, tutte vissute contemporaneamente alla più conosciuta Anne Frank: Arianna Szörenyi, Sarah Lichtsztejn-Montard, Helga Weiss e le sorelle Andra e Tatiana Bucci ancora una volta volenterose di riportare in superficie quella memoria indelebile rimasta impressa sulla loro pelle allo scopo di tramandare quel dolore alle generazioni successive.

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È normale lasciarsi alle spalle le tragedie: sarebbe dura andare avanti se si dovesse portare sulle spalle il peso della malvagità umana, così come la paura che si possa vivere un dolore del genere ancora una volta; ma è altrettanto terribile il pensiero che quella sofferenza possa davvero essere dimenticata, così come il messaggio lasciato all’umanità affinché possa imparare da quegli errori. I sopravvissuti all’Olocausto non ci saranno per sempre: arriverà un momento in cui non ci sarà più nessuno che potrà levare il capo e dire “Io l’ho visto”, “io l’ho vissuto”.
Ed è per questo che il documentario parla anche di speranza, la stessa speranza e fiducia nell’uomo che nutriva Anne Frank, quella che le dava la forza per affrontare le giornate nel rifugio e che l’ha portata a scrivere il suo diario, atto a tramandare le emozioni che provava, fossero esse tristi o fiduciose.

Le autrici di questo film documentario sono Sabina Fedeli e Anna Migotto, ed è chiaro quanto per loro sia prioritario creare un collegamento tra le nuove generazioni e quelle passate, a quello che una giovane ragazza chiamata Anne Frank ha vissuto, provato, perduto, e soprattutto al come abbia lottato e resistito il più che ha potuto a quella violenza indicibile.
Il panorama mondiale attuale suda di tensione: razzismo, negazionismo, la discriminazione di genere, di etnia e di religione, movimenti neonazisti e neofascisti fanno ancora parte del mondo; non sono mai andati via, aspettano sempre il momento giusto per uscire dalla tana e tornare in superficie, ed ora è ancora più chiaro di prima quanto sia vitale combatterli ed estirparli in ogni modo possibile.

Il documentario si divide in tre prospettive mostrate parallelamente nel corso della sua durata.
La prima riguarda l’attrice britannica Helen Mirren che, in una ricostruzione fedele del rifugio che ospitò Anne Frank e la sua famiglia nei suoi ultimi due anni di vita, fa da narratrice leggendo alcune tra le pagine più intime e profonde del libro “Il diario di Anna Frank” (titolo italiano); queste la descrivono come una ragazza curiosa e intelligente la quale, come tutti i ragazzi della sua età, immaginava la sua vita dopo la guerra e cercava di vivere al meglio nei limiti concessele da quel piccolo spazio dietro la libreria.
Non è stato possibile parlare della guerra e delle conseguenze della Shoah immediatamente dopo la guerra stessa: il dolore era ancora troppo grande, l’indifferenza ancora troppo diffusa; questo finché, quindici anni dopo, non ci furono i processi ai collaboratori del nazismo. Da quel momento in Occidente diventò necessario parlare ai giovani degli orrori della Shoah. Ma come spiegare quegli eventi a dei bambini?
La risposta a questa domanda è stata la testimonianza diretta da Il diario di Anna Frank, che con il suo sguardo sincero e carico di emozioni, è forse il racconto di passaggio più dolce per apprendere questa ecatombe. Anne Frank è l’icona di un orrore che cerca di combattere ancora adesso, alla soglia del 2020, attraverso quella sua foto sorridente che ha attraversato il mondo e le generazioni. La seconda parte è composta dalle interviste alle cinque donne sopravvissute che ai tempi erano pressappoco sue coetanee; una di loro era anche riuscita a scorgerla, seppur giusto il tempo di ricevere un sorriso. Queste testimonianze sono accompagnante da commenti e introduzioni di discendenti delle vittime, storici e specialisti.

La memoria è stata tramandata per tutto questo tempo da insegnante a studente, dai genitori ai figli, dai nonni ai nipoti, nonché attraverso lettere, disegni, strutture architettoniche, scritte, graffiti, libri, video, film, poesie e la musica.

Infine, la terza parte mostra una giovane ragazza dei nostri giorni (Martina Gatti), che intraprende un viaggio personale alla scoperta di tutti quei luoghi pregni di dolore, da Parigi ad Amsterdam, fino ad arrivare alla camera dove Anne Frank ha scritto il suo diario. Lei stessa pare quasi scriverne uno attraverso i social media e gli hashtag, dove riporta tutti i suoi pensieri riguardo quello che sta scoprendo e vivendo a livello emotivo, ponendosi le stesse domande che tanti altri si sono posti prima di lei: dove si trova la forza? Cosa provano i figli e nipoti di chi ha subito la Shoah? Cosa avrebbe fatto della vita Anne Frank se fosse sopravvissuta? Quanti altri talenti non hanno avuto la possibilità di mostrarsi?
Io ce l’avrei fatta?

Sin dagli albori della storia l’uomo ha usato l’arte per tramandare le sue esperienze e pensieri.
Arte è la scrittura di Anna Frank, questo stesso documentario, le foto appese sulle pareti del rifugio segreto che ritraevano persone dello spettacolo, la forza nelle canzoni cantate nei campi, la sinfonia poetica di un violino che racconta il dolore di quelli che ce l’hanno fatta, le fotografie scattate di nascosto da un cittadino esterno ai campi chiamato per costruire un pozzo, il numero tatuato sul braccio del giovane nipote di Arianna Szörenyi come attestazione di identità e memoria; questa stessa arte è ciò che i nazisti volevano cancellare e bruciare, senza però essere riusciti a farla sparire per davvero, ed è stata proprio essa a portare la verità sui loro orrori al resto del mondo. “È il genocidio più documentato della storia” ricorda nel documentario lo studioso Michael Berenbaum. Paradossalmente sono stati proprio i nazisti a iniziare questa documentazione, perciò non sarà certo questa epoca e questa generazione a porvi fine.

Regia: Sabina Fedeli, Anna Migotto
Distribuzione: Nexo Digital
Durata: 92′
Origine: Italia, 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.8 (5 voti)
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