ANTEPRIME – "Freddy vs.Jason", di Ronnie Yu

Era da anni che si parlava di Freddy vs.Jason, storia che avrebbe fatto gola a filmaker deliranti della serie Z come Fred Olen Ray e Jim Wynorski, ma c'è voluto un regista come Ronnie Yu, uno dei tanti talenti di Hong Kong prestati a Hollywood, perché il progetto entrasse nella fase esecutiva, ancora una volta sotto l'egida della New Line.

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Volevate per caso un horror fuori della mischia? Vi serve uno che vi aiuti ancora a credere nella rinascita della paura al cinema? Per esempio che sia possibile starsene alla larga dal botteghino, e vicino alla creatività senza inibizioni. Allora cercate sull'elenco Jason Vorhees e Freddy Krueger. Il volto truce e teorico/onirico dell'horror per la prima volta insieme. Era da anni che si parlava di Freddy vs.Jason, storia che avrebbe fatto gola a filmaker  deliranti della serie Z come Fred Olen Ray e Jim Wynorski, ma ecco che c'è voluto un regista come Ronnie Yu (The Bride with the White Hair), uno dei tanti talenti di Hong Kong imprestati a Hollywood, che ha già rivitalizzato la saga della "bambola assassina" con The Bride of Chucky, perché il progetto entrasse nella fase esecutiva, ancora una volta sotto l'egida della New Line. Dopo essere stato Cagliostro per Ciprì e Maresco, Robert Englund è così Freddy per l'ottava volta, mentre dietro la maschera da hockey di Jason c'è lo stunt Ken Kirzinger. Affilano le armi in locations come Vancouver, in Canada, e nel gioco al massacro c'è anche  Kelly Rowland, cantante nel gruppo delle Destiny's Child, che è costretta ad assistere al contratto stipulato fra i due babau per sterminare giovani – anche durante un rave party – e destinato poi a generare una tensione apocalittica fra di loro. E' sperabile che sotto la patina trash e la capacità giocosa, l'orrore praticato dalle due icone sappia trasformare il grand-guignol in flusso onirico, dove ci sia un rapporto dialettico fra il referenzialismo suggerito e la frantumazione della narrazione, come piaceva tanto al demiurgo Wes Craven. Condizione essenziale per un film psicanalitico verso la serializzazione dentro una gabbia di matti. Poco spazio dunque alle tautologie (Freddy è Freddy), anche perché altrimenti si rischia non solo l'autocompiacimento del kitsch in sintonia col peggior postmoderno, ma anche la parodia involontaria. Questa è già in agguato del resto, quando Jason nel decimo capitolo delle sue gesta (Jim Isaacs, 2001) infilza David Cronenberg come un tordo.   

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