Arcipelago 15 : Short Waves

La sezione Short Waves si occupa del concorso internazionale di cortometraggi. Opere di ottimo livello molto attente ai problemi sociali, politici e umani. I lavori in concorso dimostrano quanto il cortometraggio meriti molto di più rispetto all’attuale situazione, segnata da una scarsa pubblicità e da una distribuzione inesistente.

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Ad Arcipelago è iniziata la sezione Short Waves (Onde Corte), il concorso dei cortometraggi internazionali. Risalta subito l’ottima qualità dei lavori scelti, opere tecnicamente ben realizzate (quasi tutte in 35 mm) che rendono ancora di più il significato di un’operazione come quella del cortometraggio. Non un lavoro amatoriale o di chi non può permettersi di girare un lungometraggio, ma dei veri e propri film in formato ridotto, che possono variare dai dieci ai trenta minuti di durata. Vediamo con più attenzione cosa è passato sullo schermo della sala 3 del cinema Intrastevere. In Den Sista hunden i Rwanda (L’ultimo cane del Ruanda) di Jens Assur, una produzione svedese, viene trattato il tema della guerra dal punto di vista di un fotoreporter in viaggio in Ruanda per fotografare gli orrori accaduti nel Paese. L’opera ha una struttura narrativa abbastanza complessa, fatta di incastri temporali, di una parentesi che racconta (in maniera però divertente) le scelte che hanno portato il protagonista a fare il fotografo per poi concentrarsi sulla situazione presente, quella della guerra. Il taglio dato alla messinscena è di tipo documentaristico, soprattutto nella seconda parte, quando assistiamo al lavoro svolto dal fotografo. Tra corpi in decomposizione, villaggi abbandonati e spostamenti in jeep la realtà della guerra prenderà forme drammatiche mostrando alla fine il suo vero volto. Treinta anos (Trenta anni) di Nicolas Lasnibat è una produzione franco-cilena che tratta il tema della memoria e quello della dittatura. Un uomo torna a Valparaiso dopo trenta anni di esilio in Francia, scopriremo il valore dei ricordi e dell’amore e soprattutto il dolore che ogni essere umano è costretto a provare quando i suoi diritti vengono negati. The making of parts (Il gioco delle parti) di Daniel Elliot, presentato all’ultimo festival di Venezia nella sezione dedicata ai cortometraggi, è un’opera che si muove lungo i sottili confini della quotidianità e dell’attesa. La giornata di uomo viene presentata attraverso il suo lavoro, i suoi passatempi, la sua famiglia. L’amore e la tenerezza che un tempo questo uomo provava per sua moglie lo stanno lentamente abbandonando. Ma per una vita sessuale che volge al termine, un’altra conoscerà il suo inizio. Una serie di dettagli che si susseguono, sfumature esistenziali, un quadro dove sono le cose apparentemente senza importanza, gli atteggiamenti di ogni giorno a ritagliarsi un loro spazio e un loro significato. Blodostre (Sorelle di sangue) di Louise Friedberg è una sorprendente incursione nell’universo dell’infanzia. La regista tratteggia uno spazio casalingo nel quale si muovono due bambine, Sisdel e Dea, ne coglie la bellezza attraverso primissimi piani e ne smaschera poi delicatamente psicologie e comportamenti. Tutto è come avvolto dalla luce, in un bianco puro, un tessuto visivo candido e accogliente. E proprio in questa apparente calma nasce l’invida di Sisdel nei confronti di Dea che gioca con una nuova bambina arrivata nel loro palazzo. Gelosia e cattiveria prendono forma nella mente di Sisdel e la portano ad agire di conseguenza. La regista in questo modo irrompe nella purezza del mondo dei bambini mostrandone l’altra faccia, quella dei sentimenti oscuri, da cui gli stessi bambini non sono immuni. Il bianco viene macchiato così dal rosso del sangue. Alla festa di Dea, la sua nuova amichetta, Catherine, si ferisce con i pezzi di una bambola di ceramica che Sisdel aveva rotto e poi infilato nella giacca di Catherine. La festa finisce, non ci sono più invitati. Dea decide di vendicarsi su Sisdel costringendola a mangiare tutta una torta. Ci ritroviamo davanti all’umiliazione e alla sottomissione, protagoniste due bambine. La capacità della regista di cogliere le emozioni di Sisdel e Dea è meravigliosa ed è piena di coraggio la scelta di rivelare come anche il mondo dei piccoli non sia quell’idillio che troppo spesso viene raccontato. Lampa cu caciula (La lampada con il cappello) è una produzione rumena diretta da Radu Jude. Una radiografia della povertà della Romania attraverso il viaggio che un padre ed un figlio compiono dal loro paese verso la città per fare aggiustare il proprio televisore. Un’opera che tratteggia in maniera diretta un disagio sociale quanto la miseria di queste persone. What does your daddy do di Martin Stitt è una riflessione sul mondo della pedopornografia e sul lavoro svolto dai poliziotti per smascherare i pedofili. Attraverso una narrazione a incastro, dove la confessione di un uomo davanti ad un tavolo fa pensare a quella di un pedofilo davanti ad un investigatore, il regista ci mostra ambienti e tecniche di adescamento, padri di famiglia che di nascosto portano avanti le proprie perversioni. Con un colpo di scena finale, con il quale viene completamente rovesciato il senso di quanto vista prima e soprattutto il nostro giudizio sull’uomo interrogato, viene data allo spettatore una nuova ottica nella quale vedere l’opera e quindi una sua diversa comprensione. La selezione fatta da Arcipelago è stata molto attenta a temi e qualità e sembra voler dimostrare che anche i corti sono prodotti audiovisivi di tutto rispetto. Opere che meriterebbero quella visibilità e quel rientro economico che molte volte purtroppo non riescono ad ottenere.

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