Basileia, di Isabella Torre

Riprendendo la storia del suo primo corto, la regista conferma l’interesse per una forma di racconto capace di evocare altre dimensioni della realtà. VENEZIA81. Giornate degli Autori, film di chiusura

-------------------------------------------------------
LA SCUOLA DI DOCUMENTARIO DI SENTIERI SELVAGGI

-------------------------------------------------------

Con Basileia Isabella Torre ritorna alle vicende del suo primo cortometraggio, Ninfe, presentato nel 2018 in Orizzonti. E conferma la sua ossessione per un registro e una dimensione particolari, in cui il racconto della realtà si apre all’evocazione e alla faccia invisibile e arcana del mondo, abitata da energie occulte ed entità magiche, da verità più profonde e irresistibili.

Un archeologo soprannominato l’Irlandese (per una significativa forma di spaesamento) è in cerca di un tesoro nascosto nelle foreste calabresi. A guidarlo è un misterioso quaderno pieno di notazioni e disegni, ma soprattutto un’ambigua rapacità. Proprio per questo entra in conflitto con gli interessi di un boss locale. Eppure, nonostante gli incidenti e i divieti, il protagonista continua imperterrito la sua caccia, coinvolgendo un immigrato di Rosarno e un giovane del posto. Quando, una notte, gli scavi portano alla luce qualcosa, dalle profondità della terra si ridestano delle forze inquietanti. Sono le stesse ninfe del primo corto, “creature senza freni, né umane né divine, né vive, né morte”. Si muovono a scatti e non hanno espressione, i loro occhi sono oscuri, impenetrabili, al di là di ogni emozione, non chiedono pietà e amore, sono solo intenzionate a riprendersi ciò che era loro. Ma se nel corto era la stessa Isabella Torre a interpretare le tre ninfe, qui al suo posto c’è Angela Fontana: triplice, inquietante presenza destinata a moltiplicarsi in altre forme e fattezze femminili. Quasi che, anche figurativamente, arrivasse a compimento un passaggio di visione: dalla proiezione identificativa alla materializzazione di nuovi piani della realtà.

----------------------------
UNICINEMA QUADRIENNALE:SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

In effetti, in Basileia, il racconto non vuole liberare tanto l’elemento fantastico, quanto andare alla scoperta di un’energia ctonia, qualcosa di immanente, che si è sedimentato nel profondo della terra. Al di là della metafora di una natura che si riappropria dei suoi spazi violati, è come se i simboli smettessero di essere solo segni, per mostrare l’evidenza di una loro effettività e concretezza. Come spettri che si muovono nelle coordinate riconoscibili di un ambiente reale. È un’operazione particolare, azzardata se si vuole, che rischia a volte di sfuggire di mano e di trasformarsi nella fede cieca e nella confusione di un’immaginazione troppo accesa. Ma è anche il modo con cui il regno di Isabella Torre amplia i suoi orizzonti, arrivando ad abbracciare tutta una varietà di corde e implicazioni. Le parvenze di un horror soprannaturale, le raffigurazioni di immagini interiori ed energie psichiche, la rilettura personale di archetipi e situazioni narrative classiche (il tesoro nascosto), la suggestione di un universo di leggende e miti, uno scavo da cui emerge, in lontananza, un profilo antropologico, i segni di un cinema che affonda nelle viscere di un mondo (Jonas Carpignano produttore e montatore, la presenza di uno dei suoi attori feticcio, Koudous Seihon).

Ma soprattutto Basileia guarda alla terra come a qualcosa di vivo. Seppur da un punto di vista lunare, profondamente segnato dall’idea di una “rivincita” femminile, di una Gea che ristabilisce l’ordine inghiottendo nuovamente i propri figli protervi. Proprio per questo il territorio rivendica un ruolo decisivo. Il film è girato sull’Aspromonte, nei pressi del paese di Antonimina e del borgo abbandonato di Roghudi Vecchio. E i luoghi assumono una rilevanza assoluta, come se tutti gli accadimenti non fossero altro che un’emanazione della conformazione fisica dei passaggi e della loro storia. Vapore che sale dalla terra e che riempie le immagini. Sarà anche per questo che il racconto non ha bisogno di rimarcare ogni passaggio, di spiegare e illustrare le connessioni. Vale l’atmosfera. La prova più evidente di come, da questa prospettiva, l’immaginazione sorge dalla sostanza stessa della realtà.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.3
Sending
Il voto dei lettori
1 (1 voto)
----------------------------
SCUOLA DI CINEMA TRIENNALE: SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative