BERLINALE 58 – "Julia", di Erick Zonca (Concorso)
Il regista francese ritorna dietro la macchina da presa a 9 anni da Il piccolo ladro con un road-movie che guarda in maniera fin troppo esplicita a Gloria di Cassavetes. Zonca sa di avere talento e si mette (troppo) in mostra finendo per togliere intensità a una storia piena di sofferenza che alla fine viene privata del suo cuore. Brava e irritante Tilda Swinton.
Con Julia Zonca sembra ispirarsi in maniera diretta a Gloria – Una notte d’estate di John Cassavetes. I due personaggi femminili sono nel titolo del film. Inoltre tutta la fuga della protagonista e del ragazzino attraverso le stanze dei motel appare quasi come degli squarci da remake. Ma mentre Gloria deve difendere un ragazzino e quindi si trova nella situazione di doverlo nascondere, Julia invece prima lo rapisce brutalmente, poi gradualmente si affeziona a lui. Zonca realizza una specie di road-movie disperato, seguendo la discesa negli abissi della sua protagonista, dove la brava e irritante Tilda Swinton ha come allargato quel lavoro di metamorfosi sul suo corpo (soprattutto a confronto con alcuni suoi film degli anni ’90 come, per esempio, Orlando di Sally Potter) già cominciato con Broken Flowers di Jarmush. Rispetto a La vita sognata degli angeli però, non si avverte quella fulminea sensazione di morte. E’ come se il cineasta francese, che ha girato questo film in inglese, abbia voluto attraversare e inquadrare il paesaggio come una sorta di luogo infernale nella sua immutabilità simile al modo con cui Dumont ha guardato il deserto californiano in 29 Palms. Certo, non mancano i momenti riusciti come il potente inizio in discoteca e il successivo risveglio il giorno dopo, la scena della stazione in cui la donna non riesce a prelevare i soldi dalla cassetta di sicurezza, e la scena in cui deve fronteggiare i malviventi messicani nel traffico che avevano a loro volta rapito il bambino e le cade la pistola a terra. Forse Zonca sa di avere talento e allora si mette troppo in mostra. Facendo questo, toglie sofferenza al film, lo priva di un suo cuore. Per esempio, in una scena si mette a filmare il terreno deserto in Messico dove si sono nascosti la protagonista e il ragazzino, e indugia a inquadrare lo spazio prima di soffermarsi su Tom steso a terra. Forse è proprio su queste dilatazioni che il film si è allungato eccessivamente. E la parte girata in Messico, tranne la scena dei personaggi che si fronteggiano in mezzo al traffico con le macchine che corrono a tutta velocità, appare troppo vorticoso, più urlato che inebriato.