BERLINALE 58 – "There Will Be Blood", di Paul Thomas Anderson (Concorso)

Il rosso e il nero, il sangue sul petrolio, l’archetipo della conquista ribaltato dal solito Paul Thomas Anderson nel segno di un’America posta di fronte al monolito rigenerativo e assassino… Non un capolavoro, ma un film assoluto: Stroheim, Kubrick, Welles… Con un Daniel Day-Lewis strepitoso

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There Will Be Blood, ci sarà sangue. Indicativo futuro, ovvero presente assoluto: petrolio, terre da sfruttare, integralismi, rapacità… Greed… Sangue sulle stelle e sulle strisce: la storia Americana scolpita nella pietra antica del cinema, come una legge che sancisce i limiti della realtà. Paul Thomas Anderson, del resto, è il più arcaico dei registi americani di nuova generazione, quello che più stratifica il filmare sulle ere geologiche dello sguardo, quello che maggiormente scava con le unghie le possibilità del narrare cinematografico. There Will Be Blood è Stroheim, film fatto di scalpello e di gesto filmico assoluto; ma è anche Kubrick, forse la cosa concettualmente più vicina a 2001 che regista abbia avuto l’ardire di fare, un film posto di fronte al monolito, in atteggiamento rigenerativo, in scansione biologica della specie, partendo dalla terra da scavare come un primate, per arrivare alla mano che si abbatte sul rivale, in una casa che è un tempio fuori dal tempo e dallo spazio, punto terminale di un’odissea nera di petrolio che, nella rigenerazione, lascia solo l’uomo.

All’inizio c’è una miniera scavata quasi con le unghie: fine 800, America, la frontiera si spinge sottoterra, l’eroe ha perso il mito dello spazio… Niente argento tra le mani di Daniel Plainview (bisognerà studiare ogni ruga, ogni silenzio di questo superbo Daniel Day-Lewis, che recita per atti e non per gesti!), ma petrolio sì, e pure tanto. La scalata al potere è inesorabile. Il primo rosso che scorre mischiato al nero petrolio e quello del sangue di un suo operaio, che gli lascia un bimbo di pochi mesi tra le braccia: un figlio! Nuove terre, poveri massari da espropriare del petrolio che sgorga dai loro possedimenti. I pozzi occupano il paesaggio, un nemico si affaccia all’orizzonte e porta i segni della religione: un giovane predicatore – Paul Sunday (Paul Dano, notevole anche lui) – libera dal male e chiede contributi al pertroliere senza dio: la lotta tra  i due è formidabile, totem contro totem, materiale e immateriale allo stesso tempo, questione di dominio. Il sangue scorrerà (niente spoiler, lo dice già il titolo!), il silenzio scenderà sul Figlio e il Padre si chiuderà nella rapacità del suo inaccessibile potere, come un cittadino Kane meno evoluto e altrettanto solo, senza infanzia, però, e senza rosebud

Siamo pur sempre in un film di Paul Thomas Anderson, dove il padre è il totem che si abbatte da solo, lo sciamano che rivela il silenzio del destino. There Will Be Blood è un grande film, non un “capolavoro” (troppo consapevole per esserlo, troppo assoluto), ma un’opera che non ti lascia spazio per smarcarti, un testo che non ammette repliche, che non lascia possibilità alternative, fatto di scene madri senza scampo, sostenuto da una funzione istintiva dello sguardo che fa sempre i conti con la ragione e ne viene a capo. Un film politico sull’America, inevitabilmente…

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