CANNES 67 – Amour fou, di Jessica Hausner (Un certain regard)

amour fou

Doveva essere il film della consacrazione. Invece la cineasta austriaca Jessica  fa due passi indietro non solo rispetto lo straordinario Lourdes ma anche in confronto a Hotel. Un cinema che non cambia mai che controlla tutto l'impeto romantico in un'ambiziosa quanto inutile trascrizione letteraria

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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amour fouDoveva essere il film della consacrazione. Invece con Amour fou l'austriaca Jessica Hausner fa due passi indietro non solo rispetto lo straordinario Lourdes ma anche in confronto a Hotel. La vicenda del giovane poeta Heinrich che, in piena epoca romantica, convince una giovane donna, Henriette, a suicidarsi con lui dopo che in precedenza aveva tentano invano a convincere la cugina Marie nel suo proposito, si porta addosso i segni di un formalismo esasperato, incapace di andare oltre alla precisa rappresentazione delle geometrie dello spazio e del decor.

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Era un progetto pensato a lungo dalla cineasta, circa una decina d'anni. E faticava a prendere forma fino a quando la Hausner si e' soffermata su un articolo di giornale che parlava proprio della vicenda del poeta romantico Heinrich von Kleist e di Henriette Vogel. La donna aveva deciso di farla finita assieme a lui perche' aveva scoperto di avere un tumore. In realta' sembra invece che la sua malattia non fosse mortale. E in Amor fou l'amore e la follia non diventano mai dirompenti ma sono sempre trattenuti dentro quadri controllatissimi, che sono in linea con lo stile della regista, ma che le impediscono di oltrepassare la soglia di quello che filma, come le era accaduto invece in Lourdes. Cio' che sembra contare e' soprattutto uno sguardo, volutamente gelido, in linea con quell'odore di morte che permea gli ambienti chiusi di Bright Star o il maniacale descrittivismo di Haneke di Il nastro bianco. Fin qui nulla di male. Ma non restituisce mai il senso di claustrofobia pur utilizzando la voce fuori-campo e, in maniera sempre piu' insistente nel corso del film, la musica al piano.

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C'e' un cinema che non cambia mai in Amour fou. Uguale a se stesso, soffocato da dialoghi in cui la parola non e' elemento di tensione e che si applica indifferentemente ad ogni tipo di scena. Basta mettere in rapporto la scena dell'inizio di un ballo sulla profondita' di campo o quello della figlia di Henriette che sembra guardare in macchina e poi va verso la madre. Sono quindi ripetuti i movimenti in avanti, ma la danza non parte mai. Bisognerebbe ripassare non tanto dalle parti di Ophuls. Bastano De Oliveira e Rivette. Per evitare che l'impeto romantico diventi, come in Amour fou, solo ambiziosa trascrizione letteraria.

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