Cannes 77 – The Shrouds. Incontro con David Cronenberg e il cast

Il regista e il cast (Vincent Cassel, Diane Kruger) presentano The Shrouds alla stampa cannense e si confrontano sul grande tema della morte e della tecnologia

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La stampa presente all’incontro per la 77ª edizione del Festival di Cannes, accoglie con un applauso il regista David Cronenberg e il cast del suo nuovo film The Shrouds.  

Come ti è venuta l’idea di usare le sindoni, come collegamento tra i vivi e morti?”, è questa la prima domanda rivolta al cineasta David Cronenberg. L’artista spiega come ogni essere vivente che ci sia su questa terra abbia affrontato una perdita, che sia di un animale domestico o di un amico. La storia è un pretesto del regista per discutere della morte di sua moglie con la quale ha convissuto 43 anni. Dunque, il suo obiettivo è stato quello di voler creare prima di tutto una storia non propriamente realistica o autobiografica ma piuttosto di fondere l’esperienza della sua morte e della sua perdita intrecciandone le linee tematiche con altri spunti esistenziali.

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Si parla di dolore, dunque, ma anche di un uso delle nuove tecnologie dai risvolti spesso inquietanti. E in questo senso la conversazione non ha potuto che spostarsi su certi elementi mai così urgenti del contemporaneo come l’intelligienza artificiale e la Realtà Virtuale. Cronenberg in questo senso conferma la sua lungimiranza: “Non vedo l’ora di usare tecnologie come l’Intelligenza Artificiale ma è certamente scioccante sapere cosa si possa fare con un minimo di abilità, con elementi primari della creazione cinematografica come l’atto di dirigere e scrivere. Se sei un prompter abbastanza bravo nel dare istruzioni alla macchina ti basteranno una serie di frasi ed il film sarà lì. E si tratta, anche per questo, di una promessa affascinante e di una minaccia inquietante al tempo stesso“.

La parola passa poi a  Vincent Cassel, che interpreta il protagonista Karsh. Il personaggio è una sorta di alter ego del regista, e l’attore dichiara di essere rimasto piacevolmente sorpreso di interpretare un personaggio che si ispirasse al regista stesso. “Non avevo la sensazione che stessi cercando di diventare lui, parlo molto, non avevo mai parlato così tanto in un film. Appena mi sono vestito e ho iniziato a vedere il mio riflesso è stato abbastanza ovvio che sarebbe successo, e poi grazie a ciò che è il cinema la somiglianza è diventata possibile. Ho visto il film ieri e devo ammettere che in alcune sequenze è preoccupante la somiglianza, ma probabilmente tutto nasce dal fatto che abbiamo fatto diversi film insieme e forse mi sono avvicinato in qualche modo“.

Per quanto riguarda, invece, la costruzione dello sviluppo del dolore Cronenberg non si avvale dei tradizionali flashback per far capire il rapporto dei personaggi, il suo, piuttosto, è evidentemente un discorso che, come prevedibile, tira in ballo il costante ritorno al corpo, alla fisicità, che innerva il suo immaginario. Per raccontare più nello specifico il suo approccio, il regista parte in particolare da una delle sequenze oniriche che puntellano The Shrouds: “Nelle sequenze oniriche, il protagonista rivive i momenti peggiori del trattamento e dell’operazione di sua moglie. Ad un certo punto, però, lo seguiamo mentre incontra una nuova donna in aereo. Lei, però, a mio modo di vedere, non è altro che una sorta di ibrido che raccoglie in sé tutte le donne incontrate dal mio protagonista prima di lei e dunque anche sua moglie. Così, in un certo qual modo, è come se lui stesse facendo ancora l’amore con sua moglie, come se nonostante i danni fisici provasse ancora una forte attrazione sessuale“.

C’è tempo anche per parlare della strana metamorfosi a cui è stato sottoposto il progetto, nato come miniserie pensata per le piattaforme ma divenuta poi un lungometraggio “a causa di una risposta in pieno stile Hollywood” spiega Cronenberg, che chiarisce poco dopo: “Un giorno mi faccio convincere ad andare a proporre il progetto a Netflix. Pitcho The Shrouds agli executive, che rimangono colpiti. Allora scrivo il primo episodio, ma quando vado a chiedere informazioni per partire con i lavori del secondo episodio mi rispondono che ciò che si ritrovano per le mani non è ciò che gli era stato raccontato nella stanza“.

Viene poi chiesto al regista del rapporto di lavoro con gli attori sul set. “Ti licenzio o fai meglio” esordisce, scherzando, il regista. Ma tornato serio, Croneberg spiega: “Ho un atteggiamento rilassato e mi piace lasciare che gli attori mi mostrino quale sia la loro interpretazione senza che io dica cosa serve fare. Voglio sapere cosa riescono a fare solo con la lettura della sceneggiatura, e se vanno nella direzione sbagliata parlo con gli attori su cosa cambiare”.

Diane Kruger, che interpreta ben tre parti, racconta com’è stato lavorare per la prima volta con Cronenberg: “Non avevamo mai lavorato insieme quindi inizialmente ci siamo incontrati e abbiamo avuto una lunga chiacchierata sulla sceneggiatura e quando l’ho ricevuta non sapevo fosse una storia personale. Era una  sorpresa far parte di un momento così intimo e traumatico, mi sono sentita onorata“.

L’attrice spiega poi il faticoso lavoro di recitazione che non prevedeva letture da tavolo e prove, lei stessa afferma che se fosse stata chiamata 10 anni sarebbe stata esausta di lavorare in un set così inusuale ma di essere allo stesso tempo enormemente grata.
Vedere il suo corpo decomporsi è stata una novità, come anche mostrare al pubblico tanta nudità, che l’ha portata ad essere inizialmente vulnerabile. Ma conclude dicendo: “Mi sono sentita amata e quando ti senti amata puoi fare qualsiasi cosa“. 

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