Capitan Harlock – L’Arcadia della mia giovinezza, di Tomoharu Katsumata

Le origini del pirata spaziale creato da Leiji Matsumoto in un futuro difficile, dove la presa di coscienza passa per un confronto con il passato. Un classico dell’animazione giapponese.

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È un futuro che è già passato, quello che caratterizza il più celebre lungometraggio dedicato a Capitan Harlock. Sarà perché racconta i presupposti della precedente serie tv attraverso la formula del prequel, ma più in generale per la malinconia che descrive una prospettiva che potrà essere rifondata solo attraverso un ritorno al passato. Che non è soltanto il momento della pacificazione distrutta poi dalla guerra, ma anche il tempo dei valori ereditati dal proprio casato, fondato sul profondo senso dell’onore. Come sempre, nelle opere mutuate dalle vignette di Leiji Matsumoto, siamo in una dimensione assolutamente ideale (volendo anche un po’ ingenua), che però ha anche i contorni della ricognizione storica: per questo, il viaggio nel passato di Harlock tocca alcuni punti nodali della Storia universale, con i riferimenti più puntuali alla Seconda Guerra Mondiale e, in modo più trasversale (e per questo più forte) alla situazione del Giappone postbellico, con l’occupazione militare e la necessità di recuperare un sentire comune che sia forgiato nel rispetto e nell’onore.

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Il film in effetti presenta un’anima scissa in più tempi, luoghi e emozioni: una serie di divisioni che si riflettono non solo nella contrapposizione (comunque feconda) fra la rettitudine un po’ conservatrice di Harlock e l’utopismo libertario di Tochiro: vale a dire fra chi incarnerà l’icona del pirata e chi gli donerà l’astronave con cui aprire le prospettive della vita e del racconto agli spazi stellari. L’intervallo descritto dalle varie dicotomie, infatti, è anche quello iscritto fra la regia un po’ rigida e di impostazione televisiva di Tomoharu Katsumata (veterano delle serie tv Toei) e l’eleganza pregnante, molto “fisica” del maestro Kazuo Komatsubara, impareggiabile designer che riesce a mantenere le caratterizzazioni visive di Matsumoto, aggiornandole al gusto più “pieno” e barocco degli anni Ottanta. In effetti, anche a livello narrativo, il film è chiaramente diviso in due: c’è una parte terrestre, quella “del passato”, dove il volo matsumotiano è contrappuntato dalla continua caduta degli aerei, da voli radenti sulle rocce, e da un senso generale di pesantezza dei materiali che si rispecchia nell’oppressione della dominazione.

E poi c’è la seconda parte spaziale, in cui il fronte visivo e narrativo del film letteralmente si apre, scopre il gusto per l’invenzione visiva più surreale, per gli impasti cromatici che serpeggiano sulle inquadrature, descrivendo realtà siderali che sono autentiche dimensioni nuove nel tessuto dello spazio-tempo (si pensi all’incredibile “zona della strega” che chiude il cerchio con il prologo dedicato all’antenato del pirata). Il tono si fa più lisergico, avanguardistico e proiettato verso quel senso di esplorazione utopico caratteristico dell’era spaziale, ma sempre senza abbandonare una fisicità che esibisce il sangue e spinge le navi a un duello vivo. Proprio nella battaglia finale (da cui non a caso l’astronave Arcadia rinasce, come partorita nuovamente dal fuoco) passato e futuro si uniscono nella condivisione di un sistema unico, che chiude anche il cerchio con la mitologia già settata dalla serie tv classica e dal fumetto originale di Matsumoto. Harlock è finalmente (ri)nato.

Il volo è ora lieve, privo della pesantezza originale, quasi vagamente miyazakiano, e simboleggia la ritrovata consapevolezza del personaggio, maturato attraverso le esperienze del passato e pronto a rifondare il suo futuro.

 

Titolo originale: Waga seishun no Arcadia
Regia: Tomoharu Katsumata
Distribuzione: Koch Media in collaborazione con Yamato Video
Durata: 130′
Origine: Giappone, 1982

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
1.67 (3 voti)
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