Cartas telepáticas, di Edgar Pêra

Realizzato con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, stimola attraverso il formato onirico ogni strumento sensoriale. Un lavoro coinvolgente di incubi e presenze aliene. LOCARNO77. Fuori Concorso

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Dopo 10 anni da Lisbon Revisited (presentato proprio a Locarno), Edgar Pêra torna sulle tracce di Fernando Pessoa con un horror psicanalitico surrealista, sospeso tra il live action e l’animazione, che sembra quasi una sorta di sequel, nato con l’aiuto di un’intelligenza artificiale. Lo fa immaginando una assurda corrispondenza tra il poeta portoghese ed uno dei padri riconosciuti del racconto di paura, H. P. Lovecraft, entrambi condannati all’incomprensione in vita prima di ottenere un tardivo riconoscimento dopo la scomparsa, resuscitando quelle voci cadute nel vuoto.

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Il cosmicismo dello scrittore americano trascina il dialogo in uno scambio allucinato, dentro una filosofia irragionevole creata su misura per contenere gli incubi a partire dalla creatura emanata nel Ciclo di Cthulhu, dove mostri alieni partoriti dalla mente invadono lo schermo, spandendo insicurezza ed inquietudine per gli umani soggiogati da esseri abominevoli. Religione blasfema e radicale sui toni del nero, l’urlo della tenebra finisce per essere il punto d’incontro, un diario intimo condiviso con le oscenità e le fantasie malate lanciate contro il mondo, colpevole di non capire e condannato a morte violenta per mano dei conquistatori extraterrestri.

Diviso in capitoli che ereditano il titolo di poesie o racconti, Cartas telepáticas si diverte a testare le potenzialità visive e sonore del contemporaneo in un lavoro ancora accostabile al campo della ricerca, idoneo alla sperimentazione sensoriale, a superare i limiti della percezione dello spazio onirico, rappresentato omaggiando Escher e Magritte, ed ascoltando l’eco sconcertante di Spellbound concepito di Salvador Dalí. Vomitando immagini sconnesse e deformate, la forgia sintetica di una macchina diventa il prodotto della paura, e dalle parole prende origine un collegamento invisibile che rispecchia i sogni e le ansie degli artisti. Contraddittorio per principio, sovverte continuamente l’asse del racconto in una spirale derivata dai fumetti, popolata di personaggi ambigui e misteriosi, da ricordi improvvisi di universi paralleli raggiunti soltanto per un istante, destinato a svanire nella palude dell’inconscio. Un lavoro ossessivo, veloce, frazionato e coraggioso argine contro un’indifferenza da combattere urlando di disappunto.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.6
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