Diciannove, di Giovanni Tortorici

Così italiano e così poco italiano, sfacciato anche quando si lascia andare a qualce eccesso di stile ma anche aspro, spigliato. Esordi così li vorremmo vedere più spesso. VENEZIA81. Orizzonti.

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Comincia con il sangue sul cuscino e sul lavandino e si chiude, nella penultima inquadratura, con un sorriso. Diciannove – il titolo indica l’età del protagonista – è un febbrile coming of age, così italiano e così poco italiano, dove ogni spazio è una scoperta. È un vagabondaggio inquieto quello di Leonardo, che parte da Palermo nel 2015. Raggiunge la sorella a Londra per iniziare gli studi di business ma poi vira verso Siena per iscriversi alla facoltà di lettere. La sua è un’anima inquieta e solitaria. Non segue le lezioni, non si fa coinvolgere nel gruppo chat degli studenti e si isola nella sua stanza dove si cucina con un fornelletto e si circonda di testi classici, alcuni costosissimi comprati in rete.

Lo sguardo dell’esordiente Giovanni Tortorici coincide con quello del protagonista dove il regista trova il volto giusto, quello di Manfredi Marini, in un racconto tragicamente comico e drammaticamente inquieto, con le ossessioni claustrofobiche del cinema di Ferreri ma anche con quella frenesia nel catturare la giovinezza di Mia Hansen-Løve. Come nel caso della cineasta francese, il legame con la letteratura diventa sanguigno, anche nel modo in cui sono inquadrati i testi, per esempio, di Daniello Bartoli o l’Orlando innamorato rifatto da Francesco Berni. Le parole potrebbero scorrere in dissolvenza sul primo piano di Leonardo. Quasi degli effetti da Histoire(s) godardiane in cui la passione, la cultura, rende selettivi, esclusivi. Ma Tortorici, già assistente alla regia per We Are Who We Are di Luca Guadagnino (che di Diciannove è anche produttore), mostra anche un disagio comune a molti ragazzi come Leonardo evitando però con abilità e bravura di farne uno stantio ritratto generazionale. Segue il protagonista nella sua paura del contatto con i coetanei (le due coinquiline dell’appartamento a Siena), si ubriaca per lasciarsi andare come a Londra o dal cugino a Milano, oppure non nasconde la sua presunzione quando sottolinea che Pasolini non sa scrivere.

Come Leonardo, anche Diciannove è un film che sembra di un’altra epoca. A volte si lascia andare a qualche eccesso di stile (sfocature, split-screen), non è volutamente lucido perché siamo davanti a un cinema aspro, selvaggio e spigliato, di quello che con tutti i suoi difetti vorremmo vedere più spesso. Il modo di inquadrare le montagne a Palermo, il cielo a Londra o Vicolo del Tiratoio a Siena sono già l’identità, anche prepotente e sfacciata che trova anche momenti sublimi come nel dettaglio della lacrima della sorella del protagonista mentre dialoga con Leonardo in chiesa. Tortorici, classe 1996, aveva proprio 19 anni quando è stato ambientato il film. Chissà se ci sono rimandi autobiografici. Ma in realtà, alla fine, chi se ne frega. Diciannove trova la sua libertà, innanzitutto nella scrittura poi nella messinscena. Il dialogo nella casa a Torino farebbe invidia ai Monthy Phyton.

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La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7
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Il voto dei lettori
3.71 (7 voti)
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