Difret, di Zeresenay Mehari
Un film che, con le sue scelte narrative e formali, pratica la stessa violenza che vuole condannare, nel senso di rapire, fare del male, incatenare oltre cinquant’anni di cinema africano, di farlo arretrare di decenni, di azzerare le sue conquiste raggiunte film dopo film, autore dopo autore, con coraggio, ostinazione, fierezza
Difret cancella tutto ciò. E fa ancora più male perché a realizzarlo è stato un regista etiope, Zeresenay Berhane Mehari, al suo primo lungometraggio e al termine di un arduo travaglio produttivo. Ma Difret è indifendibile, non solo in relazione al cinema delle Afriche, ma al cinema tout court. Non stupisce, purtroppo, che, forse proprio per il suo linguaggio “buonista”, tutto costruito sull’indignazione e la commozione pre-ordinate, abbia trovato sostegni di lusso (Angelina Jolie) e una via alla distribuzione italiana negata a molte altre opere (fortunatamente è annunciata l’uscita del capolavoro di Abderrahmane Sissako Timbuktu, vero e proprio antidoto a Difret, testo d’avanguardia, poetico e lungimirante, che, senza manicheismi, riflette su questioni di estrema attualità, candidato all’Oscar come miglior film straniero).
Nel descrivere il dramma della quattordicenne Hirut e la lotta dell’avvocata Meaza Ashenafi, impegnata a difendere i diritti di chi non ha diritti, per salvare la ragazza, rea di avere ucciso l’uomo che l’aveva rapita per sposarla, dal carcere e dalla vendetta dei familiari del defunto, Difret non risparmia nessun effetto compiaciuto e nessun luogo comune per sottolineare, con enfasi didascalica, tanto le umiliazioni quanto le prese di coscienza. Un disastro.
Titolo originale: id.
Regia: Zeresenay Mehari
Interpreti: Meron Getnet, Tizita Hagere
Origine: Etiopia, USA, 2014
Distribuzione: Satine Film
Durata: 99'