Drowning Dry, di Laurynas Bareiša

Un’opera cupa e asfissiante dove la forma cinematografica assume una dimensione radicale. E davanti ad una visione di questo tipo, sembra di trovarsi di fronte ad un bivio morale. LOCARNO77. Concorso

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Una presenza invisibile aleggia tra le immagini di Drowning Dry, secondo lungometraggio del lituano Laurynas Bareiša, regista vincitore nella sezione Orizzonti di Venezia 2021 con il suo lungometraggio d’esordio, Pilgrims. Nell’opera prima del regista lituano c’era la ricostruzione di un omicidio a cui noi spettatori era negato l’accesso visivo (e quanto si è parlato nell’ultimo anno di film che non forniscono allo spettatore l’accesso alla flagranza del crimine?). L’assenza del corpo, dell’azione materiale che avrebbe portato al brutale assassinio di un uomo veniva, però, rievocata dalla rigorosa, quanto dolorosa ricostruzione che ne facevano i due protagonisti del film. L’invisibilità dell’orrore in Pilgrims provocava una sensazione di asfissia nello spettatore posto in maniera brutale d’innanzi all’ineluttabilità del dramma della morte e dell’ingiustizia di un omicidio.

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La stessa sensazione di asfissia, di mancanza di respiro, di annegamento, la ritroviamo, ancora più forte se vogliamo, in Drowning Dry, opera seconda di Bareiša, presente nel Concorso Internazionale a Locarno 77. È il titolo internazionale a suggerirci l’immagine di una condizione terribile come quella provocata dall’annegamento secco, attraverso cui la morte del soggetto non è provocata dalla presenza di liquido nei polmoni come in un annegamento in acqua, ma da una reazione della laringe che porta all’ostruzione completa dell’ingresso di aria ai polmoni.

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Il film gira tutto attorno ad una tragedia sfiorata. Una bambina è quasi morta affogata. L’intervento miracoloso dello zio la salva, sembra tutto bene. O forse no. La sensazione di sentirsi affogare non scompare anche usciti dall’acqua e così il tranquillo fine settimana nella casa al lago di due sorelle (il titolo originale è Seses, tradotto “Sorelle”) e le proprie rispettive famiglie assume i contorni di una tragedia collettiva.

Ernesta e Juste, questo il nome delle due sorelle, conducono stili di vita differenti tra loro, ma entrambe sono madri e sposate, la prima con un lottatore di MMA, la seconda con un uomo semplice, esperto di finanza. Il fine settimana che hanno organizzato con compagni e figli per festeggiare la vittoria del marito di Ernesta in un torneo di arti marziali miste comprende relax, cene con discussioni di finanza e nuotate in un lago a pochi passi dall’abitazione. Poi, arriva l’incidente. Stacco. Flash forward. Le due sorelle si ritrovano madri single, e il film segue la loro vita all’indomani di una tragedia. Sì, ma quale?

Ecco che, una volta arrivati al dunque, Bareiša ci toglie qualsiasi punto di riferimento narrativo, ci spiazza con i flash back e flash forward improvvisi che, a circa tre quarti del film, irrompono sulla linearità della narrazione, sconvolgendola completamente. Riavvolgendo il nastro, ritorniamo sulla scena dell’incidente, questa volta abbiamo accesso alla visione di una tragedia che però non si materializza. Ma è solo un anticipo di quello che accadrà più tardi.

Il regista lituano rimane sempre a debita distanza dai suoi protagonisti, lavorando sulle inquadrature con la scala dei campi ma anche con degli inquietanti zoom-in à la Lanthimos che ci rivelano l’invisibile presenza di un’angoscia, di un presagio di morte che pervade l’esistenza dei suoi protagonisti, come quella di tutti gli esseri umani. Un’opera ancora più cupa della precedente dove questa volta, però, la forma cinematografica assume una dimensione radicale.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.7
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Il voto dei lettori
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