DVD – "Lilith – La dea dell'amore", di Robert Rossen

Straordinario film psicanalitico, uno dei migliori della carriera di Rossen assieme al celebre capolavoro "Lo spaccone", con un Beatty efficace e una Jean Seberg "consumata" da un'interpretazione memorabile. Per un tuffo nella sfarfallante "mente del cinema"… DVD della Sony

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TITOLO ORIGINALE: Lilith


REGIA: Robert Rossen

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INTERPRETI: Warren Beatty, Jean Seberg, Peter Fonda, Gene Hackman


DURATA: 109'


ORIGINE: USA 1964


DISTRIBUZIONE: Sony Pictures


FORMATO VIDEO: 1.85:1 anamorfico 16/9


AUDIO: Dolby Digital 1.0 mono inglese, italiano e spagnolo


SOTTOTITOLI: inglese, italiano, francese, spagnolo, arabo, olandese, greco, hindi, portoghese, ungherese, romeno


EXTRA: 

IL FILM  



 


Già è destabilizzante l'inizio con la silhoutte di Beatty che si allontana su una strada sterrata come in un finale chapliniano. Il suo, invece, è un moto di avvicinamento a quel pericoloso bozzolo/mondo a parte che è la clinica psichiatrica, ambiente ovattato come acutamente suggerisce subito Rossen quando Beatty, appena entrato per la prima volta nell'edificio, si rivolge ad una donna e non ne sentiamo il dialogo. Lilith (Jean Seberg), la paziente di cui Beatty s'innamorerà, è come le farfalle di evanescenze radiografiche che si librano nei titoli di testa, ingabbiate da linee di ragnatela, ma è anche essa stessa un ragno che tesse la sua tela sessuale-sentimentale intorno a chi la circonda, fino a stritolarlo. Prima che questo straordinario film di Rossen (regista, produttore e sceneggiatore dal racconto di J.R. Salamanca), il migliore della carriera assieme al diversamente strabiliante Lo spaccone, inizi già in questo pre-incipit chiaro e spietato come un grafico è disvelato tutto il suo nucleo così "linearmente tortuoso". I percorsi psichici e sentimentali che lo attraversano sono un incessante intrecciarsi di movimenti lineari e di rette spezzate. Rare volte al cinema la mente nella sua (a)normalità è stata esplorata con tale lucidità poetica. Alla mente viene un classico enormemente più famoso (spesso utilizzato dagli psicologi coi pazienti nei loro cineforum educativi) come Anna dei miracoli, ma se nel grande film di Penn tutto è sopra le righe, drammaticamente e magnificamente calcato, qui tutto è ancora più spaventosamente piano e placido, tanto da condurci lentamente in questo mondo parallello alla società istituzionalizzata che pulsa all'interno dei manicomi con un movimento ipnotico, concentrico come la tela stessa tessuta da Lilith. Rossen e la Seberg, anche in questo forse risiede l'eccezionalità della pellicola, procedono di pari passo come se uno osservasse le mosse dell'altro prima di compiere il passo successivo, spionaggio e contro-spionaggio percettivo, senza gatti né topi, vincitori né vinti ma solo con la constatazione che il limen tra ragione e follia, malati e sani, regista e attore è ben più sottile di quello che la società ci vuole far credere. Così, quando nel geniale finale Beatty guarda in macchina noi/negli occhi i medici e dice semplicemente "salvatemi", suggerisce come meglio non si potrebbe l'incertezza disperante e angosciosa dello stato umano.


 

IL DVD 



 


Il dvd è di sufficiente qualità con audio Dolby Digital 1.0 a 192 Kbps, mentre l'aspetto video è nel formato 1.85:1, che permette ad uno schermo in 16/9 di mostrare quasi al meglio (il rapporto ideale sarebbe circa 1.78:1) l'intero fotogramma visibile sullo schermo cinematografico. Gli extra sono totalmente assenti e per un film certamente meno conosciuto di Anna dei miracoli ma altrettanto fondamentale nel campo dei classici drammi psicologici nella storia del cinema, interviste ad attori e al regista avrebbero giovato non solo a semplici appassionati, cinefili sfegatati ma agli stessi psicologi e psichiatri per i loro "cineforum educativi". Nonostante una presenza piuttosto massiccia di spuntinature e di qualche graffio che un po' disturbano la visione, la finezza del lavoro del grande direttore della fotografia Eugen Shuftan (già premio Oscar tre anni prima proprio per Lo spaccone) giunge con tutta la sua forza nel lavoro inesausto tra la luminosità di volti, corpi e luoghi e la tenebrosità degli stessi, così come la pastosità dell'articolata musica composta e condotta da Kenyon Hopkins (tra altri suoi titoli spicca, oltre a Lo spaccone, Baby doll di Kazan e La parola ai giurati di Lumet) trova nella sporcizia della traccia audio una sua autenticità affascinante anche se non filologica.


 


 


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