DVD – “Piccole volpi”, di William Wyler
Tra le mura di un’antica dimora coloniale si consuma l’atto finale di un’era, la scomparsa dell’America della grande proprietà terriera scalzata dal moderno capitalismo industriale. Dramma d’interni che diviene messa in scena del degrado della morale e della perdita dell’innocenza di un’intera nazione, improvvisamente preda di un’avidità sconosciuta e aggressiva che avanza inesorabile come una profezia biblica. Da Sinister Film
Titolo originale: The Little Foxes
Anno: 1941
Anno: 1941
Durata: 112’
Distribuzione: Sinister Film
Genere: drammatico
Cast: Bette Davis, Herbert Marshall, Teresa Wright, Richard Carlson, Dan Duryea
Regia: William Wyler
Formato DVD/video: 1.33:1
Audio: italiano dual mono, inglese dual mono
Sottotitoli: italiano
Extra: trailer originale
IL FILM
“Il mondo appartiene a gente come noi, diventeremo padroni di questo paese un giorno”: tra le mura di un’antica dimora coloniale si consuma l’atto finale di un’era, la scomparsa dell’America della grande proprietà terriera scalzata dal moderno capitalismo industriale. Dramma d’interni che diviene messa in scena del degrado della morale e della perdita dell’innocenza di un’intera nazione, improvvisamente preda di un’avidità sconosciuta e aggressiva che avanza inesorabile come una profezia biblica. Il passaggio, la nuova tappa nell’evoluzione di un Paese nato dalla violenza e dal sangue, è un delitto silenzioso, che avviene quasi fuori fuoco, dietro il volto impassibile della matriarca cinica e manipolatrice immortalata da Bette Davis, che attende si compia l’inevitabile e il vecchio mondo coi suoi residui scrupoli morali, debole come un marito malato e inutile, esca finalmente di scena. Giudicato all’epoca come un perfetto esempio di teatro filmato, la terza e ultima collaborazione tra Wyler e Bette Davis fa invece esplodere sullo schermo l’omonima pièce di Lillian Hellman, della quale il regista aveva già adattato nel 1936 il controverso La calunnia, altro ritratto sinistro e impietoso della società americana, i cui crimini peggiori avvengono in contesti di apparente quiete e rispettabilità: nelle stanze di casa Giddens, prigione di sentimenti e di pulsioni, ai giusti non resta che soccombere, o fuggire come l’ignara Alexandra, che abbandona la madre e i suoi biechi fratelli, le volpi avide di grappoli dolci, ma non può impedire che devastino i vigneti. La tensione narrativa cresce nell’apparente invisibilità del lavoro registico di Wyler, che predilige inquadrature fisse e profondità di campo e tira fuori il massimo del pathos dalla mancanza di azione, rendendo la figura freddamente immobile di Bette Davis il culmine dell’intero racconto. Ciò che sembra rimandare a un contesto scenico di derivazione teatrale, a cominciare dal grande salone della villa dove si svolge buona parte del dramma, diviene attraverso lo sguardo di Wyler, esaltato dalla fotografia di Gregg Toland, autentica estetica cinematografica. Anche elementi apparentemente secondari, come gli specchi frontali nella stanza da bagno dove Oscar cerca di indurre il figlio Leo a compiere il furto delle azioni dello zio, sono utilizzati per potenziare la capacità dell’immagine cinematografica di penetrare il pensiero interiore, come strumenti per insinuare lo sguardo filmico nei recessi della mente.
“Il mondo appartiene a gente come noi, diventeremo padroni di questo paese un giorno”: tra le mura di un’antica dimora coloniale si consuma l’atto finale di un’era, la scomparsa dell’America della grande proprietà terriera scalzata dal moderno capitalismo industriale. Dramma d’interni che diviene messa in scena del degrado della morale e della perdita dell’innocenza di un’intera nazione, improvvisamente preda di un’avidità sconosciuta e aggressiva che avanza inesorabile come una profezia biblica. Il passaggio, la nuova tappa nell’evoluzione di un Paese nato dalla violenza e dal sangue, è un delitto silenzioso, che avviene quasi fuori fuoco, dietro il volto impassibile della matriarca cinica e manipolatrice immortalata da Bette Davis, che attende si compia l’inevitabile e il vecchio mondo coi suoi residui scrupoli morali, debole come un marito malato e inutile, esca finalmente di scena. Giudicato all’epoca come un perfetto esempio di teatro filmato, la terza e ultima collaborazione tra Wyler e Bette Davis fa invece esplodere sullo schermo l’omonima pièce di Lillian Hellman, della quale il regista aveva già adattato nel 1936 il controverso La calunnia, altro ritratto sinistro e impietoso della società americana, i cui crimini peggiori avvengono in contesti di apparente quiete e rispettabilità: nelle stanze di casa Giddens, prigione di sentimenti e di pulsioni, ai giusti non resta che soccombere, o fuggire come l’ignara Alexandra, che abbandona la madre e i suoi biechi fratelli, le volpi avide di grappoli dolci, ma non può impedire che devastino i vigneti. La tensione narrativa cresce nell’apparente invisibilità del lavoro registico di Wyler, che predilige inquadrature fisse e profondità di campo e tira fuori il massimo del pathos dalla mancanza di azione, rendendo la figura freddamente immobile di Bette Davis il culmine dell’intero racconto. Ciò che sembra rimandare a un contesto scenico di derivazione teatrale, a cominciare dal grande salone della villa dove si svolge buona parte del dramma, diviene attraverso lo sguardo di Wyler, esaltato dalla fotografia di Gregg Toland, autentica estetica cinematografica. Anche elementi apparentemente secondari, come gli specchi frontali nella stanza da bagno dove Oscar cerca di indurre il figlio Leo a compiere il furto delle azioni dello zio, sono utilizzati per potenziare la capacità dell’immagine cinematografica di penetrare il pensiero interiore, come strumenti per insinuare lo sguardo filmico nei recessi della mente.
IL DVD