FESTIVAL DI ROMA 2014 – Lulu, di Luis Ortega (Cinema d’Oggi)

Il regista esplora la complessità delle relazioni umane con uno sguardo che non lascia spazio all’ottimismo. Purtroppo, nonostante questo vibrante esistenzialismo cerchi un legame con la realtà, l’eccessiva frammentazione narrativa non consente di allargare il discorso a una riflessione più ampia sull’alienazione, che resta rinchiusa in gesti di disperata bellezza

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Fino all’ultimo respiro. Il film di Luis Ortega si vive a pieni polmoni. Arriva come una ventata improvvisa e spazza via qualsiasi previsione a riguardo. Il giovane e talentuoso regista argentino, qui al suo sesto lungometraggio, dà sfogo alla sua creatività poetica con una storia di amore ed emarginazione.

Lucas e Ludmilla, Lulu, sono una coppia di ragazzi che abitano in una baracca. Lui va in giro armato e per guadagnare qualcosa aiuta un amico a trasportare gli scarti alimentari dei macellai. Lei invece ha una pallottola piantata nel corpo e si è ormai abituata a stare su una sedia a rotelle.

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La macchina da presa li segue nel loro peregrinare quotidiano e surreale per le strade di Buenos Aires. I due non sembrano curarsi degli altri e si comportano come vogliono, abbandonandosi agli istinti e al momento: rapinano una farmacia, ballano al supermercato, dormono in metro e prendono in prestito bambini. Anche la loro relazione è piuttosto inusuale, completamente estranea alle convenzioni sociali e in bilico tra l’incertezza della propria condizione e le utopistiche speranze per il futuro. Se Lucas incarna una libertà a tratti animalesca – la sua assurda richiesta di assaggiare il latte materno da una donna sconosciuta – Ludmilla rappresenta il tentativo di ritrovare l’ordine perduto. Il suo desiderio di avere dei figli e la presenza della famiglia diventano allora l’unica occasione per evadere da quel vortice di contraddizioni a cui è destinata.

Ortega esplora la complessità delle relazioni umane con uno sguardo che non lascia spazio all’ottimismo. Le inquadrature delle carcasse che tornano sullo schermo con ossessione ripugnante simboleggiano l’amore malato e criminale dei protagonisti che si lacera e si consuma sotto il peso dell’euforia giovanile. Purtroppo, nonostante questo vibrante esistenzialismo cerchi un legame con la realtà (la scena dell’elemosina o del sequestro da parte della polizia), l’eccessiva frammentazione narrativa non consente di allargare il discorso a una riflessione più ampia sull’alienazione, che resta rinchiusa in gesti di disperata bellezza.

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