Finalement, di Claude Lelouch

Lelouch si lascia andare a un bilancio a cuore aperto, nel desiderio, forse impossibile, di trovare un equilibrio tra l’amore e la libertà. E regala sorrisi e lacrime. VENEZIA81. Fuori concorso

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Finalement… alla fine che cosa resta? È quel che si chiede la canzone che fa da motivo portante di quest’ultimo film di Claude Lelouch. La necessità di un bilancio, dopo tanti amori, film, cose vissute, sentimenti ed esperienze. Del resto, già ne I migliori anni della nostra vita, avevamo fatto i conti con il passare degli anni, con quello sguardo nostalgico ai tempi d’oro di Un uomo, una donna e con uno struggimento senza freni, ai limiti della credibilità. Qui, in Finalement, torna la malinconia, certo, l’atmosfera del crepuscolo. Ma tutto è più sottile, sfumato, stemperato da una passione autentica per le cose della vita, da un’accettazione che sa aprirsi al sorriso e alle magie dell’imprevisto. Anche se la storia è quella di una fuga, è tutto un desiderio di trovare un equilibrio, forse impossibile, tra l’amore e la libertà.

Lino Massaro è un avvocato di successo in preda a una crisi profonda, forse dovuta a un’incipiente demenza lobo frontale. La verità è che non è soddisfatto più della sua vita, il lavoro, la famiglia, i rapporti. Tutto gli sembra menzogna e tutto gli sta stretto, come un paio di scarpe troppo piccole. Perciò decide di partire e di far perdere le proprie tracce. Inizia un lungo vagabondaggio da Mont Saint-Michel ad Avignone, facendosi passare di volta in volta per prete scomunicato, regista di film porno, trombettista dilettante… Nel frattempo la moglie, i figli, la madre, gli amici si affannano nelle ricerche. Ma è tutto vero o si tratta in gran parte di sogni, di fantasie allucinate? Poco importa, perché in questa favola musicale, come viene definita sin dai titoli di testa, saltano completamente gli equilibri di scrittura e le connessioni logiche tra gli accadimenti. Finalement procede per scene slegate, momenti ritmici autonomi e poi giustapposti, come una libera improvvisazione jazz. Si disperde nelle svolte imprevedibili della trama, a volte davvero assurde, in frammenti di storie secondarie che sono altrettanti film in potenza, appena accennati (lo sbarco in Normandia, la storia della piccola ebrea salvata dalla portinaia), in momenti completamente assorbiti dalle note e dalle parole di una canzone, in schegge di musica e di teatro. E di cinema, ovviamente. Che viene in ogni istante citato, interpretato, rimontato. Amato. Dai discorsi su I ponti di Madison County e La grande illusione, allo splendido, strampalato omaggio a Lino Ventura, che contorte nelle vicende di Finalement è il padre del protagonista, un vecchio gangster morto in carcere. E che riappare grazie alle immagini di L’aventure c’est l’aventure, insieme Aldo Maccione, Jacques Brel, Charles Denner, e di La bonne année (Una donna e una canaglia), insieme a Françoise Fabian, che non a caso qui è la madre di Lino Massaro. È la trovata di Claude Lelouch per riattraversare il proprio cinema, per rimetterne in gioco i volti, i corpi, gli umori, i toni. Così, pur se gran parte del film si regge sull’interpretazione di Kad Merad, è il regista il vero mattatore. Preso dalla smania di abbracciare tutto il suo modo, di offrirlo, ancora una volta, agli spettatori, si abbandona a una foga che può anche essere retorica, con gli infiniti momenti a cuore aperto, con tutte le frasi a effetto: “conta solo amare ed essere amati”, “l’amicizia è l’amore senza i casini”, “meglio aver noie che la noia”.  Il risultato può anche sembrare squilibrato, caotico. Ma più di una volta ci regala un sorriso e una lacrima. Non è ancora la fine.

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La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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