Horizon: An American Saga. Capitolo 2, di Kevin Costner

Un’opera che sembra sempre più un gigantesco spazio aperto, immenso come la frontiera. Qualcosa che assomiglia alla vita. Dove l’ordine è solo un tentativo ideale. VENEZIA81. Fuori concorso

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C’è un fantasma che aleggia nella storia di Horizon 2, quello dell’uomo che ha dato il via a tutta l’avventura, il sogno di questa nuova città da costruire dal nulla. È il mister Pickering interpretato da Giovanni Ribisi. Lo vediamo nell’incipit e poi lo ritroviamo nell’ultima scena di questo secondo capitolo, come anticipazione del prossimo. All’apparenza un viscido ubriacone, un maneggione di second’ordine. Eppure porta con sé un sovraccarico evidente di oscuri presagi e di energie negative, forse lo spettro dell’arroganza del capitale che gioca con il destino degli uomini. Quell’ultima immagine di lui che sale sul treno, in prima classe, è una promessa infernale.

Insomma, la narrazione di Costner, nel gigantesco racconto corale di Horizon, è fatta soprattutto di attese, di informazioni e accadimenti dosati nei tempi lunghi dell’epopea. Di personaggi che vengono rimandati, letteralmente proiettati in altre direzioni del racconto, magari in luoghi e momenti destinati all’oscurità, per poi ricomparire più in là, un giorno o l’altro. E sebbene in questo secondo capitolo comincino a convergere le traiettorie e a combaciare i pezzi, rimangono tante linee da ricomporre, altre vengono addirittura smarrite (che fine hanno fatto i cacciatori di taglie di Jeff Fahey? E dove va il tenente Sam Worthington?). Davvero sembra che a Costner il tempo non basti mai, per dar conto di tutto. Ma, ancor più, la sensazione fondamentale è di trovarsi davanti a un film che è un gigantesco spazio aperto, infinito come la frontiera. Un mondo in cui le vicende si intrecciano e si allontano in continuazione, in cui i personaggi (le persone, Aldo, le persone!) entrano ed escono, si sfiorano e si separano secondo i casi, le direzioni dei percorsi, le conseguenze delle scelte. Qualcosa che assomiglia alla vita, alle sue mille diramazioni di incontri e perdite, nodi che si uniscono e si sciolgono. Dove perciò l’ordine è solo un tentativo ideale, un’illusione. Ecco, nonostante l’apparenza di una classica compostezza, Horizon respira in maniera irrequieta, vive, palpita, rimettendo ogni volta in discussione le sue priorità e i suoi equilibri, la necessità stessa di un equilibrio.

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La  nuova comunità da costruire sul fiume rimane il punto di riferimento intorno a cui tutto ruota, il nucleo fondativo. Si incominciano a intravedere il primo impianto e una parvenza di civiltà. Ma non è detto che chi giunge a Horizon si fermi. Ogni città si muove al ritmo degli arrivi e delle partenze.

In questa prospettiva, in Horizon 2 diviene sempre più centrale il personaggio di Sienna Miller, Frances, che torna a stabilirsi in quei luoghi per ricostruire la vecchia casa distrutta e mostra tutta la tenacia del suo carattere volitivo. Eppure sembra sempre in attesa di qualcosa, di un avvento, di un’apparizione, di qualcuno o qualcosa che dia piena forma alla sua aspirazione di una nuova vita. Qualcuno o qualcosa che è ancora di là da venire, lontano e che, forse, chissà, ci è dato intravedere in quelle anticipazioni in chiusura, in un magico gioco di campo-controcampo che libera la nostra immaginazione. Ma più in generale, tutto questo secondo capitolo è dominato dai personaggi femminili, Frances appunto, sua figlia Lizzie, Juliette, la maestrina snob della carovana dei pionieri, la ribelle Diamond Kittredge, fino all’anziana cinese che rimette in riga il marito… Sono le loro vicende e il loro punto di vista a dettare le coordinate e i toni del film. Subiscono soprusi e violenze, affrontano le disillusioni e l’ostilità di un luogo che non avevano sognato. Eppure trovano un modo per andare avanti, per sopravvivere, liberarsi, ricostruire. Sono come le fondamenta, come il magnifico pavimento di legno della sala da tè dei cinesi, come lo scheletro di una chiesa di Ford. My Darling Clementine… La ricerca e la promessa di una nuova stabilità. Sarà per questo che in Horizon 2 si spara poco, nonostante la violenza e la brutalità facciano parte della natura di questi luoghi. A parte quel magnifico momento in cui Hayes Ellison è costretto a usare finalmente la sua pistola e Kevin Costner può dare prova di sé. La tensione della sfida, le linee degli sguardi, i dettagli, le posizioni nello spazio, il senso morale della scena: tutto è incredibilmente denso e chiaro. Anche Costner continua a non lasciar troppo margine al suo personaggio, quasi a volersi mantenere in disparte. Mentre concede la ribalta ai comprimari, a quegli splendidi volti alla Will Patton. La “gente comune” che fa grandi le città e porta avanti il mondo, che dà sostanza al cinema e alle storie.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5
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Il voto dei lettori
4.33 (3 voti)
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