I dannati, di Roberto Minervini

Sospeso in un’astrazione tra materia cruda e trascendenza, ecco un nuovo tassello sulla contro-storia d’America tipica del cineasta italiano. CANNES 77. Un certain regard

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Forse era nell’ordine delle cose che Roberto Minervini approdasse, apertamente, alla fiction. Quella sensazione di sovrastruttura e programmaticità che in parte emergeva nei suoi ultimi lavori documentari – soprattutto in Che fare quando il mondo è in fiamme? (2018) – lasciava retrospettivamente intuire l’inclinazione a una necessità di sviluppare quello che l’autore stesso definisce “documentario di creazione” verso territori ancor più legati al filtro della rappresentazione e della “scrittura”. Viene da questo percorso formale quindi il viaggio primordiale, materico e selvaggio attraverso la frontiera americana del 1862 raccontato in I dannati. Un film in costume che senza dubbio aggiunge un tassello nuovo e in parte straniante nella filmografia di Minervini, ma allo stesso tempo ne conferma l’ossessione per il racconto americano, per una ambiziosa contro-storia degli Stati Uniti portata avanti da sempre dal regista italiano. Ecco allora che i giovani volontari al fronte qui diventano parenti stretti, gli “antenati” di una narrazione universale e di una cronaca antropologica che si ricollega agli stessi  americani raccontati in Louisiana (2015) o in Stop the Pounding Heart (2013).

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Sin dalla prima scena, in cui vediamo un branco di lupi sbranare il cadavere di un animale, Minervini ci immerge in un mondo dominato dalla morte e dall’istinto di sopravvivenza. Le bestie come gli esseri umani sono dei “dannati” e il regista qui racconta la via crucis di un plotone di soldati dell’esercito americano durante la Guerra Civile, costretto ad aspettare rinforzi, ad affrontare gli elementi avversi di un paesaggio imperturbabile e ostile e a farsi domande sul senso dell’uccidere e della guerra. Infatti nel mezzo di un’attesa quasi beckettiana spuntano, all’improvviso, gli agguati di un nemico che non vediamo mai nitidamente, relegato a ombre in profondità di campo o colpi di arma da fuoco tra gli alberi.

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La regia di Minervini sceglie di battere tre strade principali: la contemplazione ieratica e oscura del paesaggio di frontiera, il pedinamento nei confronti dei soldati e il primo piano dei personaggi che si confessano e si interrogano durante le poche scene di dialogo. Impeccabile nei suoi dettagli di “realismo estetizzante” – i fiocchi di neve sui volti, il vento sferzante sui crini di cavallo, i suoni della natura, i cadaveri nel fango – il film insegue ambiziosamente un’astrazione tra materia cruda e trascendenza, con il contributo decisivo del compositore e direttore della fotografia Carlos Alfonso Corral. Questa dimensione chiaramente fa abbandonare al cinema di Minervini la rabbia e il linguaggio diretto delle opere precedenti. Forse il limite e il fascino di I dannati risiede proprio nel suo essere un film senza peso, tra il tutto e il nulla, collocato nella stessa no man’s land in cui finiscono intrappolati i soldati protagonisti: fuori dal tempo e fuori dallo spazio, della storia come degli schematismi cinematografici, di “genere”, che qui vengono inevitabilmente a confondersi in un oggetto alieno e ibrido, tra il western, il film politico e il documentarismo visionario.

 

Titolo originale: Les damnés
Titolo internazionele: The Damned
Regia: Roberto Minervini
Interpreti: Jeremiah Knupp, Cuyler Ballenger, René W. Solomon, Noah Carlson, Timothy Carlson, Judah Carlson, Bill Gehring
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 88′
Origine: Italia, USA, Belgio 2024

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
3.4 (15 voti)
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