Il chirurgo ribelle, di Erik Gandini
Premessa, e contraltare, già presente ne La teoria svedese dell’amore, che diventa ritratto ravvicinatissimo di un uomo e della sua straordinaria vicenda. Dal Bergamo Film Meeting
Avevamo sbirciato la loro storia in La teoria svedese dell’amore, ma era già immaginabile allora che un vicenda forte come quella di Erik Erichsen e sua moglie Sennait si sarebbe prepotentemente imposta al centro dello sguardo osservatore del documentarista Erik Gandini. Inserito come una sorta di contraltare all’interno dell’argomentazione del regista su come la proverbiale efficienza scandinava si stia trasformando sempre più in un’arma a doppio taglio, dalle conseguenze socio-antropologiche allarmanti, il progetto che si sviluppa ne Il chirurgo ribelle diventa il ritratto ravvicinatissimo di un uomo e della sua straordinaria vicenda.
Il titolo già ci fornisce qualche informazione su quello che vedremo, e tuttavia c’è la drammatica presa di coscienza di una verità scomoda dietro l’apparente leggerezza espositiva, che è propria anche della coinvolgente vitalità e simpatia del suo protagonista – ed è cifra stilistica propria di Gandini, con quella sua cinica ironia narrativa, che può piacere o meno e sicuramente ne ha fatto un autore controverso nell’accoglienza nelle sue due patrie, italiana e svedese, con Videocracy prima e La teoria svedese dell’amore poi. L’avventura di Erik Erichsen inizia un po’ più di dieci anni fa quando, dopo un trentennio passato a fare il chirurgo ortopedico in Svezia, decide con sua moglie Sennait di trasferirsi in Etiopia, prendendo in breve tempo la guida del reparto di chirurgia generale nell’ospedale della piccola cittadina di Aira, mentre sua moglie (originaria proprio dell’Etiopia), è suo indispensabile braccio destro. Lì ci si arrangia con poco: un trapano da 15 euro può sostituire un sofisticato trapano chirurgico da quattromila euro, i raggi di una bici o le fascette metalliche da giardinaggio, perfino i fermagli per acconciature, tutto può diventare materiale utile per provare a salvare vite, in un posto dove le risorse economiche scarseggiano, i pazienti da visitare sono centinaia ogni giorno e bisogna perciò essere pragmatici e risoluti, e “l’unico limite è la tua creatività”, come dice Erichsen stesso.
Il documentario di Gandini (presentato in anteprima al BFM35) si snoda tra le giornate impegnatissime del suo protagonista, alternando con estrema fluidità e naturalezza interventi, visite, estratti di vita personale, momenti di ilarità. L’intento di sdrammatizzare, di livellare possibili eccessi di pathos visivo, incastona Il chirurgo ribelle nella coerenza degli altri lavori a tesi del regista, solo che qui è il chirurgo Erik a incarnare in sé sia tesi che argomentazione. Aspetto, questo, che in parte rischia di appiattire l’evoluzione narrativa, che rischia in più punti di sposare con eccessiva (almeno apparente) acriticità un eroismo che sarebbe probabilmente stato interessante vedere più approfonditamente anche nei suoi momenti di fallacia o perplessità. Soprattutto, si percepisce la mancanza della moglie Sennait, partner sia di vita che professionale indispensabile, che appare forse troppo poco e che avrebbe probabilmente aggiunto molte più sfumature alla vicenda raccontata e al suo protagonista. Nonostante ciò, quello che rimane alla fine della visione de Il chirurgo ribelle, è l’introduzione piacevolissima a un mondo chirurgico oscuro e sconosciuto e l’accesso a una personalità carismatica, un uomo divertente, un professionista preparato e serio che è riuscito davvero a fare la differenza, sporcandosi le mani nella pratica della chirurgia. Un eroe di tutti giorni come ce ne sono tanti nel mondo, voci isolate, figure invisibili sulle quali è giusto e doveroso puntare i riflettori e fornire megafoni mediatici.
Titolo originale: Rebellkirurgen
Regia: Erik Gandini
Con: Erik Erichsen, Sennait Erichsen
Origine: Svezia, 2016
Distribuzione: Lab 80 film
Durata: 51’