"Il fuggiasco" di Andrea Manni

Un film necessario per la dedizione con cui riesce a raccontare una storia vera, senza gonfiarsi della retorica delle corse insensate con cui molto cinema italiano recente sembra basarsi, risoluto nei tempi e preciso nella caratterizzazione dei personaggi.

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Padova, anni Settanta. Un ragazzo iscritto a Lotta Continua, scopre casualmente un corpo appena martoriato dalla mano di un invisibile assassino. Il giovane in questione è Massimo Carlotto, ai più noto come scrittore di buona penna e ispirazione, ma protagonista di uno dei più incredibili, assurdi casi di persecuzione giudiziaria verificatisi nel nostro paese. Dopo aver deciso di testimoniare davanti ai carabinieri quello che aveva visto nella casa, è arrestato, accusato e giudicato come l'esecutore di quel tremendo omicidio.

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Un vero e proprio cittadino al di sotto di ogni sospetto, nei confronti di cui lo Stato, tramite l'istituzione giudiziaria, decide di affibbiare il peso di una colpa non propria, interrogandolo per ore intere, ripetendogli fino allo stordimento le stesse accuse di essere un rosso, di essere l'unico ad esser stato in quella casa. La macchina giudiziaria si innesta su un buco nero, su uno spazio non scritto, per scrivere sul corpo dello sventurato le fatali lettere della condanna. Come nel racconto della Colonia penale kafkiana. Ora il suo problema non è capire perché questo sia accaduto, ma come riuscire a sopravvivere lontano dal carcere, mentre i gradi del giudizio, dopo un iniziale proscioglimento, gli ordinano ben diciotto anni di prigione.

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Diventa una sorta di scarafaggio il giovane Massimo, la cui massima preoccupazione è di non essere pestato dalle persone che entrano nel proprio mondo incuranti della propria, nuova, fragilità. La metamorfosi si completa con l'esilio parigino, in cui conosce tanti altri perseguitati dalla longa manus della cacciatrice bendata, la giustizia. Cile, Messico, Guatemala, ma anche Italia, Spagna, questi sono i paesi da cui si fugge in quegli anni, accomunati dalla pratica della delazione, della presunzione di colpevolezza per accalappiare gli "irregolari", i refrattari verso i regimi imperanti con il loro diritto di guerra.


Ed in una felice intuizione Andrea Manni riesce a restituire con una associazione di immagini il montare di quel clima persecutorio che segnò l'escaltion: ancora a casa Massimo sta festeggiando con i genitori la sentenza d'appello che lo scagiona per insufficienza di prove. Il padre accende la tv, è il giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. Stacco. Ancora una sentenza che pronuncia il pressoché definitivo verdetto di condanna dell'imputato. Questo breve ma sintomatico momento del film, costruito con un sapiente montaggio che riesce a tendere le corde emotive per l'intera sua durata, dilata la propria sfera simbolica per lasciarsi trafiggere dalla metafora. E pur non lasciandosi fuorviare da questa dimensione allucinatoria, perché il racconto vuole essere rigoroso e puntuale senza tesi da offrire al dibattito generale su quegli anni, il film riesce lo stesso a tranciare il volto ancora imberbe del protagonista dell'amara consapevolezza di essere un capro espiatorio per una colpa commessa da altri, come più tardi ammette anche il suo avvocato, un umanissimo Alessandro Benvenuti.


E di quella corsa disperata verso l'esilio, a cui fa da contrappunto l'iniziale fuga dalla casa dell'omicidio, resta il convulso battito di una vita non rassegnata all'irregimentamento, il respiro affannoso con cui durante i diciotto anni seguenti continuerà a lottare per la propria libertà, perdendo rapidamente quello che era (la ragazza, gli amici, la vita sociale e politica di Padova), ma riconquistando il proprio sè a partire dal contatto vitale con i tanti esuli su cui fino ad ora in pochi avevano saputo tratteggiare personaggi così accurati e dolenti. Come Lolò, il cileno conosciuto a Parigi che per tanti anni, fino alla morte, continuerà a battersi per la sua scarcerazione senza purtroppo riuscire a vederne l'esito.


Un film necessario per la dedizione con cui riesce a raccontare una storia vera, senza gonfiarsi della retorica delle corse insensate con cui molto cinema italiano recente sembra basarsi, risoluto nei tempi e preciso nella caratterizzazione dei personaggi. Un'opera di testimonianza non solo di una singolare vicenda, ma capace di risvegliare grazie ad essa connotati più generali, collettivi, destando nella categoria di "film civile" il suo senso più immediato ma anche, sembra, oggi più inafferrabile.


 


Regia: Andrea Manni


Sceneggiatura: Massimo Carlotto e Andrea Manni


Fotografia: Massimino Pau


Montaggio: Alberto Lardani


Musiche: Teho Teardo


Scenografia: Stefano Giambanco


Costumi: Chiara Ferrantini


Interpreti: Daniele Liotti (Massimo Carlotto), Joaquim De Almeida (Lolo), Claudia Coli (Alessandra), Alessandro Benvenuti (avv. Vignoni), Francesca De Sapio (madre di Massimo), Roberto Citran (padre di Massimo), Gabrielle Lazure (Vicky), Fiorenza Tessari (moglie avv. Vignoni), Marco Giallini (Beniamino), Luisa Ranieri (Maria)


Produzione: Massimiliano La Pegna e Pietro Lama per FeelMax e Rai Cinema


Distribuzione: Istituto Luce


Durata: 95'


Origine: Italia, 2003


 

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