IL MISTERO DI SLEEPY HOLLOW
















































Regia: Tim Burton
Sceneggiatura: Andrew Kevin Walker dal racconto di Washington Irving
Fotografia: Emmanuel Lubezki
Montaggio: Chris Lebenzon
Musica: Danny Elfman
Scenografia: Rick Heinrichs
Costumi: Colleen Atwood
Interpreti: Johnny Depp (Ichabord Crane), Christina Ricci (Katrina Van Tassel), Miranda Richardson (Lady Van Tassel), Michael Gambon (Baltus Van Tassel), Casper Van Dien (Brom Van Brunt), Jeffrey Jones (Reveredno Steenwyck), Marc Pickering (giovane Masbeth), Christopher Walken (Hessian Horseman)
Produzione: Scott Rubin, Larry Franco, Francis Ford Coppola, Adam Schroeder
Distribuzione: Cecchi Gori
Durata: 102'
Origine: USA, 1999

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"Noi guardiamo negli occhi l'altra persona, parliamo per capirci, però se tu sei privo di testa, questo non lo puoi fare e questa cosa ti spaventa", ha raccontato Tim Burton in una recente intervista. La necessità dello sguardo 'riflesso' della biunivocità del vedere per comunicare. Già ma come fai se l'altro è 'privo di testa'? Burton gioca con il cinema, perché il cinema (e la vita) è prima di tutto gioco, o è la morte. E Tim Burton, con la morte, gioca a nascondino da sempre.
Qui apparentemente abbiamo un mostro inventato dalla leggenda, e Ichabord Crane, l'investigatore interpretato da Johnny Depp, non accetta la sua esistenza immaginaria fino a quando la sua razionalità illuminista non viene sconvolta dalla 'vera' (?) apparizione del cavaliere senza testa. Qui scatta l'incubo, la paura, ma poi l'accettazione di questa 'nuova realtà', e la forza e convinzione di poterlo affrontare con le armi della ragione, comunque. Ma una ragione diversa, meno 'razionale', più istintiva, capace cioè di rappresentare il mondo come un assieme di elementi discordanti, un puzzle impossibile, eppure da ricostruire con pazienza, lucidità, ma soprattutto passione e amore.
Come comunichi con l'altro se non puoi guardarlo in faccia, dunque? E ancora – è sempre Burton che parla – : "La cosa che più mi interessava all'inizio era che questa persona vivesse fondamentalmente proprio all'interno della propria testa e contrapporlo a qualcuno che vivesse senza testa mi sembrava la cosa più adeguata per il film. Mi piaceva appunto la contrapposizione tra qualcosa di estremamente logico e razionale, (mentale) con qualcosa che testa non aveva, quindi il subconscio." Ma il confronto non è solo 'esteriore, tra il cavaliere senza testa e il detective 'con troppa testa'. Il confronto è anche tutto interno al personaggio Ichabord che deve metabolizzare uno scontro che non può più essere affrontato con i suoi pure efficienti metodi di indagine, per l'epoca rivoluzionari. Egli inforca dei curiosi occhiali, apre e viviseziona i cadaveri, ma tanto più egli va a fondo con lo sguardo, tanto più egli cerchi di vedere meglio, meno in realtà 'vede' del mondo, e meno capisce. E se il personaggio di Ichabord è metà eroe e meta 'fifone' (esemplare in tal senso il suo continuamente sporcarsi di sangue e averne sempre rigetto, come pure la sequenza in cui si fa scudo con il bambino per entrare nella caverna), la scelta non è solo dettata dall'umorismo di fondo che aleggia nel film (ancora Burton: "Magari abbiamo pensato di realizzare un film serio fino a quando non abbiamo visto gli attori vestiti con in costumi…"), ma proprio dal mescolamento di reazioni, di modelli di pensiero, di pratiche della realtà che governano l'immaginario di questa straordinaria pellicola. Ichabord è necessariamente essere 'doppio', perché solo grazie a questa sua capacità di essere 'mutante' (un po' come il Mariner/Kevin Costner di Waterworld) riesce a sopravvivere allo scontro in atto. Da un lato c'è una losca realtà, fatta di interessi 'reali', dall'altro c'è un fantasma cattivo che ritorna dai nostri peggiori incubi. E' un po' la storia di tutto il cinema di Tim Burton, dove il confine tra la tenerezza e il macabro è sempre sottilissimo, e dove lo sguardo del quarantenne regista californiano, sempre più tende a riposizionare la percezione della realtà attraverso coordinate nuove, sperimentali, non-ideologiche. E dove la terapia dei sentimenti funziona meglio di ogni altra per affrontare il male (interiore) del mondo. Sleepy Hollow ci fa sorridere con quel suo eroe così impaurito ed effeminato, ma è proprio questo suo essere doppio, maschile/femminile che lo rende all'altezza dello scontro in atto nel piccolo paese in preda all'orrore.
Più che lo sguardo, ciò che crediamo di vedere, conta la capacità di tenere assieme la molteplicità di sensi che governano i nostri corpi. E se il nemico è senza testa, l'unico modo per sconfiggerlo è quello di ritrovargliela…la testa. Magnifica metafora sulla ricomposizione dei nostri rapporti personali….Sleepy Hollow è un geniale saggio sul concetto di razionalità, ma anche un magnifico ritratto dei conflitti 'veri' di oggi, quelli quotidiani, l'orrore 'normale' con cui conviviamo ogni giorno. Perché come dice Burton, "le cose non sono esattamente come sembrano…."
Federico Chiacchiari

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