In the Land of Saints and Sinners, di Robert Lorenz

Dal produttore di Eastwood, un western d’Irlanda che lascia sullo sfondo i grandi schemi per concentrarsi su personaggi obbligati a scavare dentro sé stessi. VENEZIA80.Orizzonti Extra

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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A una parete del pub di Glencolmcille, la cittadina costiera dove è ambientato In the Land of Saints and Sinners, presentato nella sezione Orizzonti Extra dell’80ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, è appesa una mappa. Indica la sua posizione nell’Irlanda del Nord con una freccia rossa. Accanto, una scritta: “Ti trovi qui. Che Dio ti salvi”. È il 1974 e nel paese infuria la guerra civile, ma non qui. Troppo lontani da tutto in queste distese verdi e chiazze di bosco che si vanno a buttare da scogliere minacciose. La violenza, comunque, è già presente. Il Finbar Murphy di Liam Neeson è un assassino al soldo di un malavitoso locale. Sembra andare tutto come al solito durante l’ennesima assegnazione. Dopo una serata al pub, rapisce il bersaglio. Lo porta nel solito bosco, sorvegliato da un giovanissimo collega. Gli fa scavare la sua fossa, circondato da giovanissimi cipressi piantati di recente. Lo fa inginocchiare, imposta il timer a un minuto, che gli concede per dire qualsiasi cosa voglia, sconsigliando le suppliche. Sarebbero inutili.

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L’uomo ripensa agli errori passati, è pentito, ma anche sicuro di essersi redento agli occhi della comunità. Era allo stesso modo inevitabile che arrivasse questo terribile momento. Quindi, si rivolge a lui: “Ricordati, anche tu finirai in una buca come questa. È solo questione di quanto bene si fa prima di finirci”. Gli occhi di Finbar sono lucidi. Il timer scatta. Il dito, tremolante, preme il grilletto. Per Finbar è la notte dell’Innominato. Comunica immediatamente al suo boss di non voler essere più un sicario. Per qualche giorno si dedica al giardinaggio e cena con la vicina. Il timer però è scattato. Da un’altra parte, tra le strade di Dublino, identico. È piazzato su una bomba, lanciata contro un pub di Dublino. L’esplosione uccide anche tre bambini, nonostante il tentativo di salvarli da parte di Doirean (una Kerry Condon molto più che determinata), il capo di questa cellula dell’IRA. Sono in tutto quattro e devono assolutamente trovare un luogo sperduto nel quale rifugiarsi. Il comportamento violento di uno di loro costringerà Finbar a imbracciare nuovamente il fucile.

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In the Land of Saints and Sinners e Robert Lorenz sono più che debitori del cinema di Clint Eastwood, di cui il regista è stato a lungo produttore e aiuto sul set. C’è, infatti, l’attenzione ai personaggi, esseri umani complessi, che vivono le scale di grigi invece che il bianco o nero che vorrebbe imporre la morale. Tutti sono chiamati a scavare dentro sé stessi, ad affrontare il proprio passato per poter sperare di sopravvivere al presente. Nonostante ci troviamo apparentemente sulla terraferma in subbuglio che osservavano Colin Farrell e Brendan Gleeson ne Gli spiriti dell’isola, i grandi schemi della storia restano lontani. Non c’è il dio sanguinario che tira i fili delle guerre, né i brutali giganti che secondo Finbar crearono queste colline. Rimangono uomini e donne, con aspirazioni e rimorsi con i quali fare i conti, seguendo il detto di una vecchia madre irlandese: “Troppa indulgenza conduce a una morte precoce”.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
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Il voto dei lettori
3.67 (3 voti)
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