"John Carter", di Andrew Stanton
Ogni fantasy è come un libro lasciato in soffitta e ricoperto dalla polvere: il suo destino dipende da quanto si trovi affascinante la sua prima pagina… John Carter è un costosissimo azzardo che oscilla tra il sublime alla George Lucas e la megalomania alla Dino De Laurentiis. La regia e la sceneggiatura di Andrew Stanton si dedicano con devozione e portano avanti la loro missione pixariana: il film attinge ad influenze eterogenee come il peplum italiano, i fumetti di Buck Rogers e l'intramontabile suggestione del western…
Un film come John Carter fa pensare a Dino De Laurentiis con un sentimento che oscilla tra il rimpianto e la nostalgia. La produzione della Disney vanta un conto spese da duecentocinquanta milioni e porta sullo schermo una storia di Edgar Rice Burroughs che appartiene al suo longevo Ciclo di Marte: ha molti punti in comune con alcune grandiose ma sfortunate imprese del produttore italiano, che negli anni ottanta tentò di portare sullo schermo un fumetto come Flash Gordon e un'analoga invenzione letteraria come Conan il barbaro. Cosa ne sarebbe stato delle sue megalomanie cinematografiche se avesse avuto il supporto del green screen e delle scenografie digitali? John Carter è un'ottima risposta: il film si muove continuamente sul sottile confine tra il ridicolo e il sublime e non si riesce mai a capire se la sua magniloquenza visiva sia una condanna o una virtù. Il film è un rischio enorme soprattutto perchè il suo successo dipende dalla percezione del pubblico: tutto dipende da come gli spettatori sentiranno la sua verosimiglianza e riusciranno a calarsi in un mondo completamente immaginario.
Lo sforzo produttivo si è impegnato a dare spessore ad ogni dettaglio: tuttavia, il caso di Star Wars dimostra come l'identificazione non passa sempre per la fedeltà della ricostruzione. A volte, è una semplice questione di simpatia a fare la differenza in un kolossal come John Carter e la scommessa della Disney non prevede compromessi: il film non può fare altro che diventare un trionfo come nel caso di The Lord of the Rings di Peter Jackson o un fallimento come i coraggiosi esperimenti di Dino De Laurentiis. Lo studio ha capito la lezione subita dal disastro di Prince of Persia e ha affidato le speranze di un possibile franchise alle mani di Andrew Stanton, che ha amato la saga sin dall'infanzia. L'uomo della Pixar si dimostra la persona più adatta a trattare una materia così delicata: la sua sceneggiatura non fa altro che ripetere quello che lui e John Lasseter fanno da tempo.
Questa profonda conoscenza è il tratto più saggio della sfida ed è il tratto più riconoscibile della mano di Andrew Stanton, che sa gestire l'impatto del 3D e le possibilità del campo lungo. Purtroppo, il film manca nel consegnare ai personaggi la giusta empatia: John Carter pecca di personalità e non è mai sufficientemente ironico. E' una caratteristica che non dovrebbe mancargli, almeno come pegno per lo sforzo che chiede per prestare fede alle religioni immaginarie, all'etica, agli usi e i costumi delle diverse civiltà di Barsoom. John Carter potrebbe arenarsi subito: tutto dipende da quanto si trova affascinante la sua prima pagina: ogni fantasy è come un vecchio libro che si ritrova in soffitta, ricoperto dalla polvere…
Titolo originale: John Carter
Regia: Andrew Stanton
Interpreti: Taylor Kitsch, Lynn Collins, Mark Strong, Willem Dafoe (voce), Samantha Morton (voce), Thomas Haden Church (voce)
Distribuzione: Walt Disney
Origine: USA, 2012
Durata: 132'