John Malkovich: "Ora sono Ripley ma tra breve dovrete iniziare a chiamarmi Kubrick"

Sfuggente e raffinato come uno dei suoi alter ego cinematografici, John Malkovich è venuto a Roma per parlarci del 'suo' Ripley, della sua galleria di personaggi ambigui e dei suoi, sempre spiazzanti, progetti per il futuro.

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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A Venezia Il gioco di Ripley è stato accolto da giudizi contrastanti, non propriamente lusinghieri, che cosa ne pensa?

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Non leggo mai la stampa e quindi non ho la benché minima idea di ciò che sia stato detto o scritto sul film. Devo dire però che sono abbastanza seccato del fatto che è stato detto che alla stampa sia sfuggito qualcosa.

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Che cosa le piaciuto di questo 'cattivo' e quali sono i ruoli della sua carriera ai quali è più affezionato?


Innanzitutto è un personaggio basato su numerosi buoni lavori letterari a differenza di gran parte dei 'cattivi' cinematografici che non possono di certo vantare un 'pedigree' di questo tipo. Nella maggior parte dei casi questi 'cattivi' sono basati su elementi che vengono ideati nella speranza di ricavarne qualche centinaia di milioni di dollari. Ripley ha invece una gamma espressiva completa e anche divertente, è sottoposto a una serie di mutamenti profondi che sono tratteggiati dal punto di vista psicologico decisamente bene. Io non ho mai interpretato un personaggio che fosse davvero vicino a come sono io nella realtà, ma trovo molto interessante Ripley perché è molto ben disegnato e strutturato, mi interessa molto la sua visione del mondo anche se onestamente non la condivido. Lui conosce molto bene il mondo e soprattutto conosce bene la sua collocazione all'interno di esso. È un personaggio completo, sa come muoversi, è bizzarro, trova molto sconveniente fumare all'interno dello scompartimento non fumatori, ma al tempo stesso non trova maleducato strangolare qualcuno all'interno della toilette di un treno. Per quanto riguarda i 'miei' personaggi preferiti devo dire che mi è piaciuto molto interpretare Abel, il protagonista del film The Ogre di Volker Schlondorff ma anche il visconte di Valmont ne Le relazioni pericolose, poi per il resto amo moltissimo soprattutto quelli interpretati a teatro.

I personaggi ambigui che lei ha interpretato nella sua carriera esercitano un qualche fascino su di lei, riesce a sentirli vicini?


In realtà io non sono affatto attratto da questi personaggi, ad un attore viene chiesto di interpretare un certo ruolo, viene scelto da qualcuno, quindi sceglie tra le cose per cui viene scelto. Credo che sarebbe meglio rivolgere questa domanda a coloro che mi ingaggiano per interpretare dei personaggi che definirei quantomeno 'complessi' o al pubblico che li giudica più che al sottoscritto. Probabilmente i termini della questione andrebbero rivisti se in futuro mi venisse offerto di interpretare una farsa, una figura femminile, un poeta omosessuale o un ritardato.


 


Com'è cambiato il suo approccio alla recitazione ora che ha aggiunto l'esperienza della regia al suo bagaglio artistico? Pensa di voler continuare a lavorare su questi 'due piani'?


Senza dubbio non vedo la regia come una sostituzione della recitazione bensì come  un'aggiunta, un arricchimento della mia esperienza di attore. L'esperienza di regista ti aiuta moltissimo nell'affrontare la recitazione, non perché tu voglia appropriarti di un film altrui ma piuttosto perché sei perfettamente consapevole delle difficoltà che circondano il lavoro del regista. Conoscere le problematiche legate alla lavorazione di un film ti porta a comportarti nella maniera migliore affinché quel film possa essere davvero un buon film. Quando reciti sei lì a servire una funzione, uno scopo, sei lì a interpretare un personaggio, si spera che tu sia al servizio della visione del regista e quindi non della tua. Io ho sempre cercato di fare questo, qualche volta ci sono riuscito mentre in altre occasioni i registi con cui ho lavorato probabilmente avrebbero preferito che io fossi morto, quindi non sempre è facile essere attori. In ogni caso il mio obiettivo è sempre stato quello di servire la visione del regista e quindi di aiutarlo a realizzare il film migliore possibile. Devo dire che non so cosa mi riserverà il futuro, anche se per me essere regista è una realtà più che consolidata, avendo iniziato trent'anni fa in teatro (lo Steppenwolf di Chicago) ancor prima di esordire come attore.

Lei lavora indifferentemente a teatro, nel cinema americano da blockbuster e in quello europeo d'autore. Come si rapporta a questi mondi così diversi l'uno dall'altro?


In teatro c'è molto meno business, molto più libertà. Quando lavoro in teatro mi sento come una semplice tessera di un puzzle dove una i tasselli più importanti sono rappresentati dall'autore dell'opera teatrale, dal regista e dal pubblico. Io faccio i grossi film blockbuster perché essendo un professionista è in questa maniera che mi guadagno da vivere, anche se i piccoli 'film' europei li trovo più interessanti e stimolanti. Poter lavorare con Michelangelo Antonioni o Manoel De Oliveira è per me una grande fortuna anche perché essendo ormai arrivati a novant'anni credo che forse non avrò molte chance nei prossimi venti anni di lavorare di nuovo con loro. In realtà sono convinto che Manoel De Oliveira a centodieci anni continuerà a sfornare tre film all'anno.


 


Come mai ha deciso di venire a vivere in Europa?


Sono state molte le cose che hanno contribuito alla mia decisione di venire a vivere in Europa. Sicuramente una delle più importanti è aver vissuto per trentacinque anni in America e alla luce del fatto che si vive una volta sola, almeno così sembra, il periodo trascorso nel mio paese mi è sembrato più che sufficiente. Avendo lavorato molto in Europa ho capito nel tempo che avrei voluto vivere qui .


 


Com'è stata la lavorazione in Italia? Come ha interagito con i luoghi in cui è stato girato il film?


Il Veneto ha esercitato un'influenza sul mio modo di recitare ma questo vale sempre, per ogni film che faccio. Oltretutto il fatto di girare in esterno ha avuto una grande importanza perché ti colloca all'interno di una particolare geografia, portatrice di un testo che è al di fuori della sceneggiatura ma che è ineludibile. In questo film una certa qualità della luce, il paesaggio, l'architettura palladiana sono stati elementi che hanno influenzato il mio lavoro.


 


Quali sono i suoi prossimi film?


Tra poco uscirà Johnny English, una satira degli spy movies con Rowan Atkinson (Mr Bean) protagonista, in cui interpreto Pascal Sauvage, un ladro sulle tracce dei gioielli della Corona. Quest'estate invece lavorerò a Call me Kubrick, un film in cui sarò un inglese che va in giro per il suo paese spacciandosi per Stanley Kubrick.

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