"La febbre" di Alessandro D'Alatri

E se il nostro cinema, il cinema italiano, improvvisamente, cambiasse? Se riuscissimo a raccontare anche cose da star male, cose che possono fare male? D'Alatri potrebbe tentarci. Magari nel suo prossimo film…

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Mi chiedo se questi che vedo al cinema, quando vado a vedere un film italiano, siano sostanzialmente i fatti nostri. Se, cioè, il cinema che produciamo racconti nell'essenza le caratteristiche di un popolo.


Deve essere così. Perché, quando vado a vedere un film francese, riconosco subito che è un film francese. E la stessa cosa mi capita guardando un film tedesco o inglese… Per quel che ci riguarda, mi vado convincendo che sono questi i temi e i problemi che produciamo. Un mondo piuttosto mediocre, superficiale, afflitto dai mali cronici dei disservizi, del dominio della banalità, del clientelismo, delle bustarelle, delle donne in carriera, del Bel Paese.

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Anche D'Alatri ci racconta queste cose qui. Lo fa con garbo e divertimento e ci accarezza, con una storia tutto sommato dolce, con un eroe talmente forte che è capace di affermare la sudditanza dei sogni rispetto all'io – "io dove sono?", "ma mi vedi?", "esisto per te?". Siamo afflitti da psicologismo, da tensioni persecutorie e rimaniamo in bilico prima di tuffarci, definitivamente, in un mondo bucolico e perfetto che permette all'eroe del film di fuggire verso un territorio salubre, ricco di gente che riesce a vedere al di là dei sogni.


Beh, siamo capaci di questo: creare film teneri, discreti, dolci e, come si diceva, garbati. Con mano sapiente – perché, intendiamoci, D'Alatri è un regista che sa fare il regista, che si diverte adeguatamente a posizionare la macchina da presa e la sa muovere sapientemente così com'è capace di scegliere stacchi e dissolvenze assolutamente "simpatici".


Ci viene, però, da chiederci se questa debba essere la cifra del nostro cinema. A guardarci attorno c'è tanto di quel materiale… orribile e tremendo che, quasi, ci viene da pensare di ritrovarci in piena guerra e, per questo, annegati da un terreno fertile che ci inghiotte. Saremo anche un po' superati ma crediamo che ci voglia, ecco, un po' più d'impegno. Impegno nel sociale, intendiamo. Basta guardarsi attorno – e non c'è bisogno di scendere fino a Napoli per vedere quel che combina la camorra e quel che fanno i poteri occulti. Non c'è bisogno di vedere nero dappertutto. Solo ci auguriamo un cinema un po' più sincero, capace di raccontare strati dell'anima un po' più profondi (talvolta più dolorosi, tal'altra più felici).


Anche in questo caso: ci fa piacere che l'amore trionfi. E ci fa piacere che il nostro protagonista usi certe parole che, per vergogna, tendiamo a non dire più: "mi piacerebbe stare con te per tutta la vita". Questa, nel suo piccolo, è già una frase rivoluzionaria. Ma, lo sappiamo, ci sta dell'altro, più sotto ci sta dell'altro. E sappiamo pure che è possibile fare film accattivanti senza cedere d'un passo alla semplificazione. Non è necessario essere bravi come Clint Eastwood, non è necessario dissanguarsi al punto da riuscire a scrivere Million Dollar Baby. Possiamo praticare ferite più leggere ed eliminare il sangue se ci sembra sia in eccesso. Però, almeno un poco, bisogna scoprirsi, bisogna mostrare le proprie contraddizioni, gli anfratti più nascosti del nostro animo. Altrimenti non riusciamo a far altro che discorsi "simpatici" e bene articolati, ironici e terribilmente riconoscibili, non riusciamo a far altro che disegnare protagonisti piacevoli e divertenti, deboli ma positivi. Se questo ci sta bene, se ci sta bene ciò che ci impone strategicamente il botteghino, va bene, va bene anche così. Certo, sappiamo pure che, in questo modo, non facciamo altro che dare pacche amichevoli sulle spalle del pubblico. Ma incidere nell'anima, beh, quello è un altro discorso.

Regia: Alessandro D'Alatri


Interpreti: Fabio Volo, Valeria Solarino, Vittorio Franceschi, Massimo Bagliani, Gisella Burinato, Gianluca Gobbi


Distribuzione: 01 Distribution


Durata: 108'

Origine: Italia, 2005

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