La prisonnière de Bordeaux, di Patricia Mazuy

Più incerto nella parte criminale, il film conferma invece la mano felice della cineasta francese di mostrare gli impercettibili cambiamenti nel rapporto tra le due protagoniste. CANNES77. Quinzaine.

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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A ventiquattro anni di distanza, Patricia Mazuy ritrova Isabella Huppert. In Saint-Cyr, presentato proprio al Festival di Cannes del 2000 a Un certain regard, l’attrice aveva interpretato M.me de Maintenon, una donna del XVII° secolo moglie di Re Luigi XIV che nella sua scuola si prendeva cura di ragazze di estrazione nobile rovinate dalle guerre e renderle delle donne libere. In particolare, il suo rapporto con due di loro, Anne de Grandcamp e Lucie de Fontenelle, richiama quello che c’è tra Alma e Mina in La prisonnière de Bordeaux. Il primo personaggio, interpretato proprio da Isabelle Huppert, è una ricca signora che vive in una grande villa della città ma trascorre spesso il tempo da sola. L’altra, portata sullo schermo dall’ottima Hafsia Herzi lanciata da Kechice in Cous Cous da cui è stata diretta anche nei due ‘canti’ di Mektoub, My Love invece lavora in una tintoria per crescere i suoi due figli piccoli. Cosa hanno in comune due donne così diverse? Il marito in carcere. Si incontrano infatti nella sala d’attesa della prigione. Mina non riesce ad avere un colloquio, si arrabbia e attira l’attenzione di Mina che poco dopo la vede distesa alla fermata dell’autobus e le offre un passaggio in stazione. Da quel momento Alma fa di tutto per poterla aiutare. La ospita a casa sua assieme ai figli e le trova un lavoro a Bordeaux consentendoli così di non fare più lunghi viaggi per vedere il marito.

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In parte i due film sono speculari. In La prisonnière de Bordeaux però non c’è il taglio romanzesco ma piuttosto una sottile ambiguità di un cinema sospeso tra verità e simulazione. Il rapporto tra Alma e Mina è autentico o stanno recitando? La seconda finge di svenire all’inizio del film e finge di essere rapinata. L’altra invece le apre le porte della sua casa ma è come se volesse appropriarsi della sua vita, già dal modo in cui è affettuosa e vizia i suoi figli. Huppert si guarda allo specchio con il trucco. È quasi un backstage, con la preparazione del make-up prima di girare. Proprio quella sottile linea tra il dentro il fuori, il set e il fuori-campo dallo spazio della scena pur con le protagoniste inquadrate da sole, mostra una visione chiara della cineasta di mettere in piedi più piani nella rappresentazione, senza far mai sentire il peso della struttura con cui è stata costruita. Così come, in un film di finzione, c’è quell’approccio documentaristico che sembra arrivare dal cinema di Agnès Varda con cui Mazuy ha collaborato come montatrice in Senza tetto né legge.

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Mentre il passo è più incerto nella descrizione dell’ambiente criminale, con il regolamento di conti di un furto di orologi, il film invece conferma l’abilità di Patricia Mazuy di sviluppare gli impercettibili cambiamenti dei suoi personaggi nel corso della storia. C’è un maggiore controllo rispetto al film che l’hanno rivelata, Peaux des vaches e soprattutto l’impetuoso Travolta et moi, tra i migliori telefilm realizzati per Arte all’interno della serie Tous les garçons et les filles de leur âge. La mano felice di Mazuy è proprio nell’indefinibilità del rapporto tra Alma e Mina. È un’amicizia, un amore forse corrisposto forse no oppure solo un patto. Lieve e spietato – Mina che guarda Alma con i suoi amici delle ricca borghesia ospiti nella sua casa come se fosse un’istantanea fotografica – La prisonnière de Bordeaux riesce a raccontare in modo partecipe due diverse storie di emancipazione femminile e sulle differenze di classe e quindi di giustizia. Dopo il loro incontro, comunque il rapporto con i loro rispettivi mariti non sarà più lo stesso.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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