La programmazione di Fuori Orario dal 18 al 24 agosto

Tutti i colori del noir con Fleischer e Ray e nuovo ciclo “Montaggio mio dolce affanno” con Godard, Ruiz-Sarmiento, Bene, Pollet, Baruchello-Grifi e Khrzhanovsky

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Domenica 18 agosto dalle 2.00 alle 6.00

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KIM KI-DUK: LA MONOGRAFIA DEFINITIVA!

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Fuori Orario cose (mai) viste                                                      

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di Ghezzi Baglivi Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta 

VICOLI BUI, INCUBI NERI tutti i colori del noir (5)

a cura di Paolo Luciani 

“… la rivista LIFE, allora punto di riferimento della media borghesia, etichettò la tendenza come la profonda predilezione post-bellica di Hollywood per il dramma morboso. Stilisticamente questi film costituiscono uno dei periodi più ricchi del cinema americano. Dapprima film noir designò solo gli adattamenti dalla serie noir, una collana di tascabili nota sotto questo nome per la caratteristica copertina nera.   Come questi, il film noir  aveva origine nella letteratura pre-bellica, ma delineava le realtà del crimine post-bellico.  Gli storici ed i sociologi non troveranno quasi nessun rapporto tra la mala descritta nei film noir  – non esattamente una classe, un gruppo o un ambiente – e gli avvenimenti che segnarono il crimine  americano dall’esecuzione di legale di Lepke Buchalter nel 1944 all’assassinio da gang di Bugs Malone.

Nessun criminale realmente esistito fu rappresentato in film americani da LO STERMINATORE del 1945 a BABY FACE NELSON (FACCIA D’ANGELO, 1957), all’incirca il periodo di splendore del film noir: “…non sarà mai approvato nessun film che tratti della vita di un noto criminale di tempi recenti che usi il nome, il soprannome o altro di tale noto criminale nel film, né sarà approvato un film basato sulla vita di questo noto criminale a meno che il personaggio mostrato nel film non sia punito per i  crimini, parimenti mostrati nel film, da lui compiuti”

La logica alternativa al gangster – film maschilista e violento era il thriller psicologico, di solito centrato su una protagonista depravata. Il secondo tipo di film diventò una tendenza che esplose nel periodo post-bellico e fornì titoli di film noir.

Qualche osservatore straniero, come Ado Kyrou, vide in questa nuova esplosione di misoginia un’espressione del risentimento verso le donne, una reazione ai quattro anni di idealizzazione della guerra, durante i quali alle donne erano consentiti due soli ruoli, la moglie in attesa o la ragazza nubile che faceva la sua parte nel grande sforzo bellico.

Ma non c’era di più. La guerra e le sue conseguenze psicologiche contribuirono a rendere popolari la teoria ed il linguaggio freudiano. Un interesse crescente per la psicoanalisi fornì ai registi un nuovo approccio su tutto quello che il Codice reputava discutibile. Per trattare di argomenti proibiti la migliore cosa era far deviare il comportamento sessuale verso un comportamento criminale, che era più facile da giustificare agli occhi del Codice.

Secondo questa logica, un criminale che andava verso il suo destino poteva indulgere ad atti sessualmente illeciti, dato che comunque era predestinato e la punizione per un atto criminale implicava la punizione per un atto sessuale inaccettabile.

Prendiamo ad esempio un film noir minore, ma tipico, PERFIDO INGANNO (BORN TO KILL, 1947), in cui il motivo centrale era costituito dal desiderio frustrato della protagonista per un assassino e i personaggi secondari costituivano un campionario di depravazione.

… uno Studio di produzione più modesto come quello della RKO-Radio era disponibile alla sperimentazione delle aree scure per nascondere i limiti di un set modesto e per mascherarne la ripetitività. Il film noir venne più naturale alla RKO e le prime impressioni nere erano avvincenti nei primi film minori come LO SCONOSCIUTO DEL TERZO PIANO,  IL BACIO DELLA PANTERA, LA SETTIMA VITTIMA, cui il tema unificante sembra essere il terrore e l’ossessione. (da Carlos Clarens, GIUNGLE AMERICANE, 1980)

 

ROADBLOCK                        

(Usa, 1951, b/n, dur., 73’, v. o. sott., it.)

Regia: Harold Daniels

Con: Charles McGraw, Joan Dixon, Lowell Gilmore, Peter Brocco

Un modesto agente assicurativo vede sconvolta la sua routine di vita dall’incontro on una bellissima ed enigmatica ragazza. Sempre più preso da lei, deve cercare di garantirle il lussuoso stile di vita a cui è abituata e che pretende… non riuscendoci progetta una rapina… Ennesima variazione de LA FIAMMA DEL PECCATO  di Billy Wilder, naturalmente in perfetto stile RKO, assicurato da una delle squadre fidate della casa di produzione.

SQUADRA MOBILE 61

(Bodyguards, Usa, 1948, b/n, dur.,  63′, v. o. sott., it.)

Regia: Richard Fleischer

Con: Lawrence Tierney, Priscilla Lane, Phillip Reed, June Clayworth

Una delle prime sceneggiature di Robert Altman, per un B-film diretto da Fleischer, con i toni del noir intessuti con parentesi giallo-rosa. Costretto a dimettersi dalla polizia per incompatibilità ambientale, un ex poliziotto trova lavoro come guardia del corpo della  zia di un giovane industriale. Qui viene a conoscenza di intrighi, ricatti e corruzione, mentre  è anche accusato di omicidio dai suoi ex colleghi…

LA DONNA DEL BANDITO                  

(They Live by Night, Usa, 1948, b/n, dur., 91’)

Regia: Nicholas Ray

Con: Farley Granger, Cathy O’ Donnell, Howard Da Silva, Jay C. Flippen

Un giovane malvivente evade con due suoi compagni. Durante la fuga si ferisce, tutti de tre decidono quindi di rifugiarsi a casa della giovanissima nipote di uno dei tre. Quasi fuori dal tempo i due giovani si innamorano e decidono di proseguire la loro storia lontani da tutto, in una casa in montagna…

Primo film di Ray e dl direttore della fotografia Diskant, che tanti film e tanti noir curerà per la RKO. Il film ebbe diversi problemi di riscrittura; sia il tono originale del romanzo che   la trasposizione che ne fece Ray risultarono via via per i censori troppo realistici, romantici, quasi assolutori del crimine… Per i giovani critici francesi, è un film fondamentale per il passaggio dalla Hollywood classica a quella post bellica; Robert Altman ne rifarà anche lui una versione nel 1974.

IL VASCELLO MISTERIOSO                   

(Sealed cargo, Usa, 1951, b/n, dur., 85’)

Regia: Alfred L. Werker

Con: Dana Andrews, Carla Balenda, Claude Rains, Philip Dorn

Durante la guerra, una nave da pesca americana incontra durante una notte di nebbia un mercantile in panne, con bandiera svedese. Salito a bordo per prestare soccorso, il comandante del peschereccio non è convinto dell’origine e della vera missione del mercantile. E ha ragione, si tratta di una nave spia tedesca, che trasporta di nascosto missili antisommergibile. In un crescendo di tensione, riuscirà ad evitare lo sbarco delle armi, aiutato dagli abitanti di un paese di pescatori. Spy story bellica,  realizzata da uno dei team RKO esperti in noir.

 

Venerdì 23 agosto dalle 0.20 alle 6.00

“MONTAGGIO MIO DOLCE AFFANNO”

(“Montage mon beau souci”) (1)

a cura di Roberto Turigliatto

IL NASO O LA COSPIRAZIONE DEGLI ANTICONFORMISTI        

(Nos ili zagovor netakikh, Russia, 2020, col., dur., 89’51”, v.o. sott. it.)

Regia: Andrey Khrzhanovsky

Il regista rievoca in tre atti la storia de il Naso, il racconto di Gogol e la sua trasposizione come “opera buffa” da parte di Sostakovictra tra il 1927 e il 1928., con riferimenti anche ad altre due lavori del grande compositore, Rayok antiformalista e Lady Macbeth del Distretto di Mcensk.  Nel corso del racconto incontreremo i personaggi di Gogol ma anche Bulgakov e Stalin, in una satira potente e fantasiosa di un potere che si è accanito nella persecuzione dei “formalisti”, talvolta giustiziati dal regime staliniano, e che si amplia a tutte le differenti epoche della storia russa, quando il potere ha voluto assoggettare l’arte e punire gli “anticonformisti”.   Fin dagli Anni Sessanta il regista aveva ricevuto da Šostakovič (che aveva ammirato il suo primo cortometraggio d’animazione) l’invito a portare nel cinema la sua opera.  Khrzhanovsky, dopo 40 anni, ha portato a termine un fenomenale film d’animazione che va oltre l’animazione, dalle stupefacenti tecniche miste, lavorato in una polifonia sfavillante, un caleidoscopio di stili sorprendente.

«Gogol non è solo una figura centrale nella letteratura russa, ma è anche il pioniere delle diverse correnti che lo seguirono, dal realismo critico al surrealismo. Inoltre è un geniale maestro del montaggio! Un maestro del collage, in un certo senso». (Andrey Khrzhanovsky)

«Tra i premi che ho ricevuto, alcuni sono stati assegnato “per lo sviluppo del linguaggio cinematografico” oppure “per la capacità di integrare diversi stili cinematografici”. Abbiamo parlato di polifonia, di polistilismo, di utilizzo del collage animato, io sono un sostenitore di questo metodo, che semplicemente corrisponde alla natura del mio pensiero. Si tratta di quelle fondamenta straordinarie alla base del montaggio, poiché il montaggio è proprio l’accostamento di diverse epoche, di diversi artisti e di tecniche differenti, o del documentario con l’animazione Ejzenštejn usò la seguente espressione: “l’animazione è oltre il cinema”. Credo che sia davvero così. Il linguaggio dell’animazione ancora non ha visto confini e mai li vedrà». (Andrey Khrzhanovsky)

Il regista, considerato uno dei maestri del cinema d’animazione, è nato nel 1939. Nel marzo del 2022 stato uno dei firmatari – assieme a molti altri tecnici, artisti e registi del cinema d’animazione russo e ucraino – di una lettera di dissenso contro l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. È il padre del noto regista Ilya Khrzhanovsky.

CONVERSAZIONE CON ANDREY KHRZHANOVSKY

(Italia, 2022, col., dur., 41’)

A cura di: Eugenia Gaglianone e Roberto Turigliatto

Conversazione registrata a Sant’Arcangelo di Romagna il 7 ottobre 2022.

Il regista ripercorre il suo lavoro nel cinema, dagli studi con Kulešov all’amicizia con personalità come Gennadij Špalikov e Tonino Guerra, dalla censura subita fin dai suoi primi cortometraggi di animazione, all’elaborazione del suo personale stile polifonico, che culmina nella straordinaria esperienza de Il naso. Ovvero come gli “anticonformisti” hanno condotto una lotta incessante contro il potere e per la libertà dell’arte, e come la coscienza della grande eredità dell’avanguardia “formalista” degli anni Venti abbia saldato un legame fortunatamente non ancora interrotto.

BENE! QUATTRO DIVERSI MODI DI MORIRE IN VERSI (prima e seconda serata)

(Italia, 1974-1977, col., dur., 96′)

Uno dei primi lavori televisivi di Carmelo Bene, realizzato nel 1974, lo stesso anno del primo Amleto (da Shakespeare a Laforgue), subito dopo aver chiuso con Un Amleto di Meno la parentesi cinematografica aperta nel 1968 con Hemitage e Nostra Signora dei Turchi, ma andato in onda soltanto nel 1977, in due serate su Rai 2 il 27 e 28 ottobre. I diversi modi di morire sono nelle parole di quattro grandi scrittori russi, Majakovskij-Esenin-Blok-Pasternak, riadattate e recitate dalla voce di Bene che cura anche la regia. Girato in video, con musiche di Vittorio Gelmetti, è un’opera esplorativa e di rottura che disintegra la teatralità insita nella televisione frantumando lo spazio/studio mentre ne esalta la fin(i)tezza. I versi dei quattro poeti russi formano un florilegio che ruota intorno alla rivoluzione vista come apocalisse antropologica e culturale con i suoi fuochi fatui e le sue macerie.

PASSION                                                

(Francia, Svizzera, 1982, col., dur., 88’, v. o. sott., it.,)

Regia: Jean-Luc Godard

Con: Isabelle Huppert, Hanna Schygulla, Jerzy Radziwilowicz, Michel Piccoli, Laszlo Szabo, Jean-François Stévenin

Un regista polacco gira in studio, in Svizzera, un film incentrato su “tableaux vivant” che riproducono opere famose della pittura occidentale.

“Se questo film è una “passione” – e in effetti lo è – è la passione del cinema stesso, dilaniato tra il puro e l’impuro, la geometria e il caos, la comunicazione e il rumore. Tutti i cineasti cominciano col ridurre questo scarto ancor prima di iniziare il film, proteggendosi dal rumore e dal caos.  Godard, che ama al tempo stesso il rumore e la musica, mette in evidenza proprio lo scarto, ne fa il punto di partenza (…)  Il cinema viene effettivamente salvato da Passion (…) E Godard sceglie la via più difficile, ricordarci da dove viene realmente il cinema (il rumore cacofonico del mondo, la singolarità irriducibile delle cose, le variazioni della luce) e tendere malgrado tutto verso ciò cui il cinema non potrà mai pretendere se non per illuminazioni, la bellezza assoluta. La grande forza estetica di Godard consiste nel sapere che non c’è vera bellezza se non nella scintilla che si crea tra questi due poli”. (Alain Bergala, Cahiers du Cinéma, luglio-agosto, 1982)

 

Sabato 24 agosto dalle 0.20 alle 6.30 

“MONTAGGIO MIO DOLCE AFFANNO”

(“Montage mon beau souci”) (2)

a cura di Roberto Turigliatto

LA TELENOVELA ERRANTE              

(Id. Cile, 1990-2017, col., dur., 76′, v.o. sott.it.)

Regia: Raúl Ruiz, Valeria Sarmiento

Con: Luis Alarcón, Patricia Rivadeneira, Francisco Reyes, Liliana Garcia, Mauricio Pesutic, Carlos Matamala, Roberto Poblete, Francisco Moraga, Consuelo Castillo, Marcial Edwards, Roberto Chignoli, Maricarmen Arrigorriaga, Fernando Bordeu, Maria Erica Ramos

«Il film è imperniato sul concetto di telenovela e strutturato sul presupposto che la realtà cilena non esiste, ma è un collage di soap. Ci sono quattro province audiovisive e si teme la guerra fra fazioni. I problemi politici ed economici sono immersi in una gelatina di fiction e divisi in episodi seriali. L’intera realtà cilena è inquadrata dal punto di vista della telenovela, che fa da filtro rivelatore della realtà stessa». (Raúl Ruiz).

La telenovela errante è anzitutto la storia di un film incompiuto. Le tappe del suo ritrovamento, come in un labirinto ruiziano, hanno inizio nel 2015 quando un ammiratore di Ruiz avvicina l’attrice e produttrice Chamila Rodriguez e le consegna il making of delle riprese girato allora in video HI 8. Allo stesso tempo la fotografa di scena dell’epoca consegna un plico con 300 foto prese sul set. Informata Valeria Sarmiento, cineasta montatrice e moglie di Rui, le ricerche vanno sempre più a fondo. Al negativo conservato nella Cineteca di Santiago del Cile, si aggiunge una copia-lavoro in 16mm recuperata nella biblioteca della Duke University negli Usa dove Raúl Ruiz aveva insegnato, fino alla sceneggiatura, ritrovata in un cassetto della loro casa parigina, dalla stessa Sarmiento.

A questo punto Valeria Sarmiento si occupa di rimettere insieme i pezzi del puzzle scandendo in sette capitoli i materiali girati da Ruiz nel 1990 in una settimana di riprese e aggiungendo delle sequenze in cui immagini dell’epoca passano sugli schermi delle televisioni, in modo da portare alla luce l’idea originaria di Ruiz che voleva – attraverso il gioco folle delle telenovelas (da cui provengono tutti gli attori del film) passate sotto una lente enigmatica e terribile – far emergere l’angoscia e l’ipocrisia di un paese martoriato appena uscito dalla dittatura. La telenovela, specchio sfuggente della realtà, finisce per rivelarne il volto segreto, il rincorrersi delle ombre diventa un dispositivo politico che chiede con forza di restituire verità a una nazione troppo a lungo straziata.

Il film è un vero e proprio sistema di scatole cinesi dove a emergere è l’inconscio di chi, per sopravvivere, ha scelto la via dell’erranza: cioè l’esilio. Giochi semantici, depistaggi, lapsus, scene che si generano una nell’altra, umorismo nero, l’identità esplosa del Cile compongono un oggetto unico, duro e ironico. Ruiz dieci anni dopo con il capolavoro Cofralandes, Rapsodia chilena (2001-2002), anche questo trasmesso negli anni scorsi da Fuori Orario, tornerà a occuparsi – con forse maggiore compiutezza poetica e filosofica – del cuore segreto della sua terra, ma è con La telenovela errante che compie il primo doloroso tentativo di ritorno a casa (un altro, più lontano nel tempo, risale al 1982, con la gemma Lettre d’un cineaste ancora una volta trasmessa nelle nostre notti su RaiTre)

LA VERIFICA INCERTA

(Italia, 1964, col., dur., 31′)

Di: Gianfranco Baruchello e Alberto Grifi

È il grande classico, film unico e fondamentale, alla base anche del lavoro di Fuori Orario, un film di montaggio ormai leggendario che ha fatto storia, realizzato da un grande cineasta irregolare (Grifi) e da un artista catalogatore (Baruchello) con la complicità di Marcel Duchamp.

MÉDITERRANÉE                          

(Francia, 1963, col., dur., 42’, v.o. sott., it.)

Regia: Jean-Daniel Pollet

Quarantacinque minuti di immagini girate durate un viaggio di 3500 km intorno al Mediterraneo, organizzate secondo un montaggio seriale: “uno dopo l’altro i pezzi del gioco vengono ripresi e verranno rilanciati, diversi e uguali, nello stesso modo e in modo diverso”. (dal commento di Philippe Sollers)

“Per Méditerranée ho fatto un viaggio di tre mesi e mezzo, percorso quindici paesi attorno al bacino del Mediterraneo, ma ho rifiutato subito di fare un documentario. (…)  Per cui ho filmato una sola inquadratura, in modo di poter utilizzare al montaggio le inquadrature come parole, come segni. Ho filmato le manifestazioni di culture sepolte ma che ci fanno segno. Volevo a ogni costo preservare la presenza libera delle cose. Mi è più facile filmare le cose che le persone. Credo molto al ‘partito preso delle cose’ di Francis Ponge (…) Méditerranée è un film libero nel senso in cui cerca di mostrare che si possono far saltare le distinzioni arbitrarie tra reale e immaginario, fra passato, presente, futuro, senza entrare in uno “spazio  mentale” devitalizzato, poiché il gioco dell’analogia e delle corrispondenze tra immagini molto concrete  – ispirandosi ad alcuni temi molto semplici, il più evidente dei quali è la morte della cultura – ha per unico scopo quello di cercare di ridare alle cose, ai volti mostrati, il loro ‘potere di rivelazione originale’ e dimenticato”. (Jean-Daniel Pollet).

“In questa banale serie di immagini a 16 sulle quali alita lo straordinario spirito del 70, sta a noi ora di saper trovare lo spazio che solo il cinema sa trasformare in tempo perduto… O piuttosto il contrario… Ecco, infatti, piani lisci e tondi abbandonati sullo schermo come un ciottolo sulla riva…”. (Jean-Luc Godard)

HISTOIRE(S) DU CINÉMA

(Francia, 1988-1998, b/n e col., dur., 50’58’’, v.o. sottotitoli italiani)

Di: Jean-Luc Godard

episodio 1/a: TOUTES LES HISTOIRES (Tutte le storie) 50’58”

L’episodio 1/a, Toutes les histoires, è così descritto da Godard: “Il cinema fin dall’inizio ha voluto raccontare tutte le storie. Quelle che aveva raccontato la pittura, che aveva evocato la musica, quelle  che avevano egualmente evocato i romanzi e la poesia. E ancora le storie lette nei giornali, sentite alla radio e oggi viste in televisione, tutte le storie dai tempi antichi a oggi. Volevo rendere l’idea che il cinema aveva voluto riprendere tutto a modo suo, comprese le storie che raccontano gli storici e anche quelle degli storici del cinema”.

Fin dalla fine degli anni ’70 Godard aveva pensato a   una serie di film dal titolo Introduction à une véritable histoire du cinéma et de la télévision.  Il progetto ha infine preso forma   negli otto episodi  realizzati dal 1988 al 1998, un periodo che  –  tra l’altro  – coincide pressappoco proprio con i primi dieci anni di vita di Fuori Orario.

Scrisse Agamben che con Debord e Godard si assisteva a un evento epocale: “si fa del cinema a partire dalle immagini del cinema”. E aggiungeva: “Non si tratta qui di una storia cronologica, ma di una storia messianica. È una storia della salvezza, c’è qualcosa da salvare. Ed è una storia ultima, una storia escatologica, dove qualcosa deve essere compiuto e giudicato. Per questo essa deve accadere qui, e insieme in un altro tempo: deve sottrarsi alla cronologia senza trasferirsi in un altrove”.

E Godard: «Non ricordo più in quale episodio dico che senza il cinema non avrei saputo di avere una storia. Questo mi ha permesso di pensare alla mia stessa storia e di inserirla in una più grande che si trovava ad un tempo fuori e dentro di me. Mostrare ciò che sentivo, sentire ciò che mostravo. In fondo negli otto episodi alla domanda “Che cos’è il cinema?” non fornisco otto risposte, piuttosto ne suggerisco centomila possibili (..) Se dovessi mettere un sottotitolo a queste storie del cinema, scriverei Archivio del tempo presente, o Nuovo modo di guardare gli archivi del tempo presente».

Già nel 1956, quando era un giovane critico, Godard aveva intitolato un suo scritto: “Le montage mon beau souci” (Il montaggio, mio dolce affanno), un’espressione che ricorre più volte nelle Histoire(s). Ne sarebbero seguiti oltre 70 anni di strenuo e ininterrotto corpo a corpo col cinema e il suo “mistero”.

CONTRETEMPS                        

(Francia, 1988, b/n e col.,  dur., 101’, v.o. sott., it.)

Regia: Jean-Daniel Pollet

Contretemps, film unico nella storia del cinema, stupefacente e misconosciuto, Pollet compie un lavoro di distruzione e di ricomposizione delle sue opere precedenti, realizzato insieme alle persone che gli sono più vicine, il musicista Antoine Duhamel, gli scrittori Philippe Sollers e Julia Kristeva, la montatrice Françoise Geissler.. A partire da brani  di Méditerranée, Bassae, La Femme au cent visages, Les Morutiers, Pour mémoire, L’Ordre (oltre che da Skinoussa, paysage après la chute d’Icare di Jean Baronnet), crea un film totalmente nuovo, in cui  attraverso un lavoro magistrale di montaggio tutte le sue immagini precedenti entrano in un altro gioco, vorticoso, grandioso, a spirale. Una riflessione sul tempo, la differenza e la ripetizione, la luce, la melodia, in cui si inseriscono le riflessioni di Sollers e Kristeva e la musica di Duhamel.

“Con Contretemps ho fatto una specie di testamento. Dopo due rifiuti dell’ “avance sur recette” per Tunc di Lawrence Durrell, che cosa potevo fare? Avevo un vecchio tavolo di montaggio che mi seguiva da sempre. Scompongo i miei film. Mi metto a fare ciò di cui avevo voglia da un pezzo: passare dai cinquanta minuti di Méditerranée a un film-saggio di un’ora e cinquanta”. (J.-D. Pollet, 1989).

 

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