La programmazione di Fuori Orario dal 2 all’8 giugno

L’Italia del boom con Rocco e i suoi fratelli e il ciclo Polvere nel vento con il cinema di Hamaguchi di cui verrà trasmesso l’inedito Passion.

--------------------------------------------------------------
CORSO ESTIVO DI CRITICA CINEMATOGRAFICA DAL 15 LUGLIO

--------------------------------------------------------------

Domenica 2 Giugno dalle 2:30 alle 6:00

--------------------------------------------------------------
CORSO DI PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE CINEMATOGRAFICA: ONLINE DAL 15 LUGLIO

--------------------------------------------------------------

Fuori Orario cose (mai) viste

----------------------------
UNICINEMA QUADRIENNALE:SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

A CAVALLO DEI ’50 – nel boom dipinto di boom (11)

a cura di Paolo Luciani

Per alcune notti di Fuori Orario presentiamo coppie di film che siano in grado di documentare i cambiamenti in atto nella società italiana tra il 1948 (anno della sconfitta elettorale delle sinistre) e tutti gli anni ’50, caratterizzati dal centrismo democristiano, ma, anche e soprattutto, da una ricostruzione post-bellica accelerata che conduce al boom economico ed al suo rapido sfiorirsi. Sono gli anni in cui si stratifica la realtà italiana, quella di “un paese mancato”; non basteranno le lotte sindacali e sociali del decennio successivo, insieme al raggiungimento di poche, ma importanti riforme sui diritti di tutti, ad allineare il paese su standard di modernità, ancora oggi irraggiungibili. Cinematograficamente siamo tra la crisi del neorealismo e l’esordio di grandi personalità (Antonioni, Fellini) insieme al persistere e al mischiarsi di nuove figure professionali (attori, registi, sceneggiatori, quadri tecnici) con quelle ancora provenienti dalle esperienze del cinema del ventennio. Di fatto, dal dopoguerra alla metà dei ’50, prende forma “il pubblico cinematografico italiano”, costruito sul consumo di una produzione nazionale ancora molto diversificata. Resistono tutti i filoni ed i generi: il neorealismo popolare come quello rosa, il film d’avventura e il film opera, il cinema comico attoriale come quello d’autore. Ma abbiamo anche la nascita della commedia all’italiana e l’inizio del peplum, la presenza hollywoodiana a Cinecittà e quello che sarà il cinema dei grandi produttori italiani degli anni ’60, insieme a realtà come “il cinema napoletano”. Su tutto, poi, si stende una cappa censoria che non risparmia nulla. Le produzioni devono combattere contro l’invasione del prodotto hollywoodiano, facendo ancora ricorso a un mercato di esercizio che vede durare anni lo sfruttamento di un film, con stadi diversi di programmazione, in grado di raggiungere gli strati più profondi del paese: quello che farà la televisione, da lì a pochi anni. Insieme al cinema e alla radio si affermano nuovi media, non solo la TV, ma la pubblicità, la stampa di partito, il fotoromanzo, le riviste di costume illustrate. Dopo il voto alle donne abbiamo una scolarizzazione finalmente di massa. Quella che viene chiamata una mutazione antropologica del paese si manifesta anche con i bisogni che moltiplicano le occasioni del nuovo consumismo, come di una normale, anche se caotica, evoluzione dei costumi. L’auto per tutti, le vacanze di massa, la moda e il nuovo divismo femminile, i concorsi e le manifestazioni, siano esse canore, di bellezza, letterarie, d’arte. Nella consapevolezza comune emergono e si differenziano economicamente e culturalmente composizioni diverse della società, con nuove problematiche anche esistenziali. Ed il nostro cinema è presente e dà conto di questi mutamenti, con alcune costanti che si possono far risalire alle radici profonde della nostra storia: amor di patria – spesso vissuto come a fare ammenda di non encomiabili responsabilità storiche più o meno recenti- una tendenza costante al tragico e al comico, dove far annacquare tendenze inespresse alla rivolta e alla consapevolezza di sé. Ma, soprattutto, la costante narrativa con cui il nostro cinema sembra fare i conti, è condizione familiare, meglio quella della donna, costretta e raccontata in un’emancipazione troppo lenta, sia essa madre, lavoratrice o “donna libera”. con i film

ROCCO E I SUOI FRATELLI

(Italia 1960 bianco e nero durata 171’)

Regia: Luchino Visconti

Con: Alain Delon, Renato Salvatori, Annie Girardot, Katina Paxinou, Alessandra Panaro, Spiros Focas, Max Cartier, Corrado Pani, Rocco Vidolazzi, Claudia Mori, Adriana Asti, Enzo Fiermonte, Nino Castelnuovo, Roger Hanin, Paolo Stoppa, Claudia Cardinale

Alla morte del marito, la lucana Rosaria Parondi si trasferisce a Milano, dove abita il primogenito Vincenzo, con gli altri quattro figli maschi. Simone comincia una carriera nella boxe, Rocco fa il garzone in una stireria, Ciro va a lavorare in fabbrica e Luca, il minore, rimane a casa con la madre. L’ossessione di Simone per la prostituta Nadia, della quale si invaghirà anche Rocco, porterà alla tragedia e alla disgregazione della famiglia Parondi. “Le premesse essenziali della narrazione sono desunte dal patrimonio della narrativa popolare: di qui Visconti trae il tema della città tentacolare e dei pericoli dell’inurbamento; la figura della donna perduta che introduce la discordia nelle famiglie; la netta contrapposizione tipologica tra il buono e il cattivo. Il folclore contemporaneo fornisce un motivo complementare, destinato ad aumentare gli effetti di risonanza del dramma: la boxe, vista come pendant della prostituzione, nella sua essenza alienante. Il richiamo all’attualità e la caratterizzazione nazionale vengono parimenti ottenuti attraverso elementi di immediata, larghissima eco: l’origine meridionale della famiglia Parondi serve ad accentuare la violenta istintività delle sue varie reazioni al primo incontro con la modernità; mentre l’ambientazione a Milano, capitale del miracolo economico, fa risaltare ulteriormente per contrasto, la materia ancestrale del conflitto che oppone fratello a fratello… portando sullo schermo il mondo popolare, facendolo protagonista di una saga dell’eros e della violenza, ROCCO invita, costringe il pubblico a immedesimarsi in una realtà anteriore a tutte le formalizzazioni del costume borghese: l’esplosione degli istinti spezza le barriere difensive delle belle maniere, del buon gusto; e le sovrapposte intenzioni politiche accrescono la misura dell’oltraggio. I primi a spaventarsene furono i giurati della Mostra di Venezia; poi, l’intervento censorio della magistratura milanese, se per un lato galvanizzò la curiosità delle platee, per altro mise sull’avviso l’opinione pubblica conservatrice, guidandone le reazioni.

(Vittorio Spinazzola CINEMA E PUBBLICO Lo spettacolo filmico in Italia 1945-1965)

 

Venerdì 7 giugno alle 1:30 alle 6:00

POLVERE NEL VENTO MAESTRI D’ORIENTE (6)

a cura di Lorenzo Esposito, Roberto Turigliatto

PASSION PRIMA VISIONE TV

(Giappone 2008, col., 115’, v.o. sott. ita.iani)

Regia: Ryūsuke Hamaguchi

Con: Aoba Kawai, Ryūta Okamoto, Nao Okabe, Fusaki Urabe, Kiyohiko Shibukawa

Girato a 29 anni, Passion è il film di laurea di Hamaguchi alla Tokyo University of Arts. È stato distribuito in Giappone solo nel 2020. Malgrado fosse stato presentato in concorso nella sezione Zabaltegi del Festival di San Sebastian del 2008 è rimasto sconosciuto in Europa. Un gruppo di amici, tre uomini e tre donne, si riunisce per una festa di compleanno. Due di loro, Tomoya e Kaho, si apprestano ad annunciare il loro prossimo matrimonio. Ma nel momento di dare la notizia Tomoya sembra lasciar trasparire un’esitazione. L’annuncio non viene accolto da tutti nello stesso modo, alcuni sembrano provare una non dissimulata gelosia. Nel corso delle notti e dei giorni seguenti si fanno sempre più visibili le incertezze e i risentimenti che esistono all’interno del gruppo di amici e che fino ad allora erano rimasti nascosti. Le coppie e le amicizie sembrano vacillare… «Stupisce vedere come fin dal primo film l’arte della conversazione costituisca già la materia prima del cinema di Hamaguchi. Conversazioni lunghe, potenti, introspettive, dove la parola riveste un carattere quasi “speleologico”, per così dire, tanto è questione di immergersi sempre più profondamente negli scambi reciproci tra le persone per farne emergere qualcosa come un’esigenza di onestà e di migliore comprensione di sé e degli altri. Ed ecco susseguirsi delle scene magnifiche, basate sulla durata, dove le discussioni si inoltrano a testa bassa nel cuore della notte, dalle diafane luci notturne e urbane fino ai pallidi bagliori del primo mattino (si veda per esempio il bel piano- sequenza della confessione amorosa all’alba sullo sfondo di un paesaggio industriale). Hamaguchi si concentra sia sulla profusione della parola, sia sul suo ascolto, in un movimento dialettico che contribuisce a evidenziare la presenza umana” (Mathieu Macheret, “Le Monde”, 15 maggio 1919) Ryūsuke Hamaguchi ha affermato di essersi ispirato a Cassavetes nel modo di filmare gli attori in questo film, in seguito saranno invece Edward Yang e Eric Rohmer i due riferimenti essenziali del suo cinema. «Con Passion ho messo da parte quello che avevo provato a fare in precedenza. In Solaris era prioritaria la composizione dell’inquadratura, e questo limitava il movimento degli attori. Ma in Passion non ho mai deciso l’inquadratura prima delle riprese, a parte alcuni lunghi piani-sequenza. La cosa più importante nel film era il movimento degli attori. Ho lasciato loro una totale libertà, in modo da catturare l’emozione che scaturisce dai loro gesti e dalle loro azioni. La sfida consisteva nel seguirli in permanenza con la macchina da presa, senza sapere prima che cosa avrebbero fatto. Ma vedendo il risultato mi sono detto che il film in fondo era molto differente dalle influenze che avevo ricevuto, soprattutto in rapporto ai dialoghi, che erano ancora troppo logici nella loro costruzione, troppo facili da decifrare. È per questo che non credo di essere riuscito in realtà a trovare il tono che Cassavetes scopriva attraverso il movimento degli attori» (Ryusuke Hamaguchi)

CONVERSAZIONE CON RYUSUKE HAMAGUCHI prima visione tv

di Roberto Turigliatto, 2023, durata 25’ circa, v.o. sottotitoli italiani

La conversazione è stata realizzata in due tempi, prima a Venezia in occasione della presentazione in concorso di Il male non esiste, il secondo a Lisbona, durante il Leffest. Il regista parla del suo metodo di lavoro con gli attori, del rapporto tra la parola e la messa in scena dello spazio, del ruolo del tempo nella costruzione dei suoi film, e infine dell’apparizione di un nuovo personaggio, la natura, con il Male non esiste, anche in rapporto alla sua collaborazione con la musicista Eiko Ishibashi. Nella parte di Lisbona si esamina la nascita del suo primo lungometraggio “ufficiale”, Passion, dopo il tirocinio all’Università delle Arti di Tokyo sotto la guida di Kiyoshi Kurosawa. Infine la conversazione verte sulle influenze sul suo cinema di Cassavetes, Rohmer e Edward Yang, così come dei tre grandi maestri classici giapponesi, Ozu, Mizoguchi, Naruse, influenze queste ultime che costituiscono la base del suo approccio al cinema.

HAPPY HOUR prima parte

(Happīawā, Giappone, 2015, col., 102’, v.o. sott., it.)

Regia: Ryusuke Hamaguch

Con: Sachie Tanaka, Hazuki Kikuchi, Maiko Mihara, Rira Kawamura

La terza e ultima parte andrà in onda domenica 10 settembre Pur essendo attivo come regista e sceneggiatore fin dal 2008 (ha lavorato anche con Kiyoshi Kurosawa, di cui è stato allievo all’Università), è stato scoperto in Italia molto tardivamente, a seguito dei premi ottenuti prima da Il gioco del destino e della fantasia (Orso d’argento al Festival di Berlino) e subito dopo da Drive my car, vincitore a sorpresa della Palma d’oro e dell’Oscar. In realtà Hamaguchi era considerato uno dei nomi importanti del cinema internazionale almeno da Happy Hour, presentato in concorso a Locarno e vincitore del premio per la migliore interpretazione conferito alle quattro attrici, e dal successivo Asako I e II, già in concorso a Cannes, cui è seguita nel 2019 la prima retrospettiva completa dei suoi film a Parigi. Happy Hour è stato sviluppato nell’ambito di una residenza del regista al KITO Design and Creative Center Kobe nel 2013 e scaturisce da un workshop di recitazione con attori non professionisti. A Kobe quattro donne che sono diventate amiche nel corso degli anni si frequentano e si confidano reciprocamente. Quando una di loro, Jun, confessa alle amiche di aver chiesto il divorzio, queste accolgono la notizia con una certa sorpresa. Assistono alla causa in tribunale, dove Jun deve affrontare un marito dispotico. Durante un viaggio ai bagni termali di Arima Jun sparisce misteriosamente scatenando una catena di eventi inaspettati… «Happy Hour è un’autentica meraviglia, un affresco corale di una bellezza e profondità stupefacenti, quattro sublimi ritratti di donne nella vita quotidiana… Esaminando nei dettagli la vita di quattro amiche sulla quarantina che cercano di sfuggire alle alienazioni del quotidiano. Hamaguchi riesce a filmare gli esseri nella loro intimità più profonda» (Mathieu Macheret, “Le Monde”, 20 giugno 2018) «Tutti i film sono finzione e documentario nello stesso tempo. Ho sperimentato sia l’una che l’altro e credo che non ci sia nulla che sia pura finzione o puro documentario. Gli attori recitano davanti alla macchina da presa. Quello che la macchina da presa riesce a catturare è un documentario sugli attori, perché stanno facendo qualcosa che accade una sola volta…. Non è tanto il teatro a interessarmi, quanto la recitazione, il fatto di appropriarsi di un testo, di interpretarlo». (Ryusuke Hamaguchi)

 

Sabato 8 giugno alle 2:15 alle 7:00

POLVERE NEL VENTO MAESTRI D’ORIENTE (7)

a cura di Lorenzo Esposito, Roberto Turigliatto

HAPPY HOUR seconda e terza parte

(Happīawā, Giappone, 2015, col., dur., 92’ + 110’, v.o. sott., it.)

Regia: Ryusuke Hamaguchi

Con: Sachie Tanaka, Hazuki Kikuchi, Maiko Mihara, Rira Kawamura

Pur essendo attivo come regista e sceneggiatore fin dal 2008 (ha lavorato anche con Kiyoshi Kurosawa, di cui è stato allievo all’Università), è stato scoperto in Italia molto tardivamente, a seguito dei premi ottenuti prima da Il gioco del destino e della fantasia (Orso d’argento al Festival di Berlino) e subito dopo da Drive my car, vincitore a sorpresa della Palma d’oro e dell’Oscar. In realtà Hamaguchi era considerato uno dei nomi importanti del cinema internazionale almeno da Happy Hour, presentato in concorso a Locarno e vincitore del premio per la migliore interpretazione conferito alle quattro attrici, e dal successivo Asako I e II, già in concorso a Cannes, cui è seguita nel 2019 la prima retrospettiva completa dei suoi film a Parigi. Happy Hour è stato sviluppato nell’ambito di una residenza del regista al KITO Design and Creative Center Kobe nel 2013 e scaturisce da un workshop di recitazione con attori non professionisti. A Kobe quattro donne che sono diventate amiche nel corso degli anni si frequentano e si confidano reciprocamente. Quando una di loro, Jun, confessa alle amiche di aver chiesto il divorzio, queste accolgono la notizia con una certa sorpresa. Assistono alla causa in tribunale, dove Jun deve affrontare un marito dispotico. Durante un viaggio ai bagni termali di Arima Jun sparisce misteriosamente scatenando una catena di eventi inaspettati… «Happy Hour è un’autentica meraviglia, un affresco corale di una bellezza e profondità stupefacenti, quattro sublimi ritratti di donne nella vita quotidiana… Esaminando nei dettagli la vita di quattro amiche sulla quarantina che cercano di sfuggire alle alienazioni del quotidiano. Hamaguchi riesce a filmare gli esseri nella loro intimità più profonda» (Mathieu Macheret, “Le Monde”, 20 giugno 2018) «Tutti i film sono finzione e documentario nello stesso tempo. Ho sperimentato sia l’una che l’altro e credo che non ci sia nulla che sia pura finzione o puro documentario. Gli attori recitano davanti alla macchina da presa. Quello che la macchina da presa riesce a catturare è un documentario sugli attori, perché stanno facendo qualcosa che accade una sola volta…. Non è tanto il teatro a interessarmi, quanto la recitazione, il fatto di appropriarsi di un testo, di interpretarlo». (Ryusuke Hamaguchi)

----------------------------
SCUOLA DI CINEMA TRIENNALE: SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Scrivi un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *