LA RIVOLTA DELLE BANLIEUES – Tavernier: "Per anni il governo francese ha chiuso gli occhi".

Riproponiamo l'intervista di Francesca Pierantozzi al regista francese (autore nel '97 di un documentario sulle periferie parigine, inedito in Italia…), uscita sul Messaggero lo scorso 12 novembre. "Solo i politici non sapevano cosa stava succedendo".

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Nel 1997 Bertrand Tavernier va a vivere due mesi e mezzo a les Grand Pêchés, a Montreuil, una di quelle banlieues che oggi bruciano. Fedele ad un cinema che deve essere anche «sismografo della società», Tavernier entra camera in spalla nelle case, negli androni dei palazzi, nelle scuole, nei commissariati. Il regista conquista la fiducia della gente, dei ragazzi, dei poliziotti, degli educatori di strada. E gira De l'autre côté du periph ("Dall'altra parte del périphérique", il raccordo anulare di Parigi), documentario raro, non compiacente e senza cliché sulla vita nella cité. Sono passati otto anni. 

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La sorprende quello che sta accadendo oggi nelle periferie di Francia? 

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«Tutti sapevano, tutti sanno quello che succede nelle periferie francesi. Lo sanno gli insegnanti, gli educatori, i volontari delle associazioni, lo sanno i poliziotti, i commissari, i pompieri. Lo sanno tutti, tranne i politici. Quello che è accaduto in questi anni nelle banlieue è un massacro sociale perpetrato da gente arrogante che ha costruito ghetti a tavolino, distrutto la scuola e creato ignoranza. E' il frutto di una politica inconsistente, del silenzio catastrofico della sinistra, della "tolleranza zero" sbandierata da Nicolas Sarkozy, che ha soppresso la polizia di prossimità, perché "i poliziotti non devono fare le balie", e ha licenziato gli educatori. Adesso può vantarsi del suo bilancio: più auto bruciate, più disoccupazione, più discriminazione razziale».

Cosa l'ha colpita nelle immagini della rivolta?


 
«Quello che mi ha colpito è certo la vigliaccheria di questa violenza, che colpisce le auto della gente, le scuole, le palestre. Ma quello che mi ha colpito è anche quello che non ho visto. Mi colpiscono le periferie rimaste "calme" e silenziose, semplicemente perché in mano alle mafie locali. Mi colpisce la nullità della politica di questi anni, che ha tagliato tutti i crediti alle associazioni, uniche a lavorare davvero sul terreno, e che oggi sono praticamente scomparse. Prendiamo esempio dagli integralisti: loro sanno come valorizzare al meglio i loro predicatori, che lavorano e raccolgono frutti nelle periferie. Lo Stato non sa fare altrettanto. Mi colpisce il silenzio delle imprese, del patronato, ulteriore testimonianza di come le banlieue siano screditate, dimenticate». 



Il premier De Villepin ha promesso di ristabilire i crediti alle associazioni. 


«Davvero delle belle promesse. L'ho ascoltato anch'io: sborserà un quarto di quello che è stato tolto in questi anni. E' così che si risolveranno i problemi?» 



Cosa resta della periferia che lei ha filmato nel '97? 


«Mi spiace che il film non sia mai uscito in Italia. Sono convinto che sia necessario filmare la banlieue, raccontarla al di là delle auto che bruciano, al di là di questa politica del disprezzo. Ho visto la gente che lottava contro l'analfabetismo, gente che convinceva i ragazzi a fare sport, gente che andava in giro con un autobus a portare libri dove non c'erano biblioteche. Ho visto anche i poliziotti, i pompieri, la difficoltà del loro lavoro. Sono tornato a Montreuil, tutta quella gente è stata licenziata. Il mio film si chiudeva con le parole di una ragazza, Mélanie: "E adesso che faremo?". Me lo chiedo anch'io».



 

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