La visione liberata – Stan Brakhage non c'e' più

Filmrespiro che 'scappano' dallo schermo, minati dalle nostre soggettività umori destinazioni soste ri-partenze. Filmografiavita, fino alla morte. Se n'è andato malato di un cancro, conseguenza del lavoro pittorico artigianaleamatoriale sulla pellicola, fatto con sostanze chimiche che contaminavano i fotogrammi, la propria pelle, il proprio corpo

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Il dio del giorno era sceso su di lui (*)


Un anno fa il Festival di Rotterdam dedicò un massiccio omaggio a Stan Brakhage, in occasione dell'edizione 2002, per ricordarci che "non si può vivere senza Brakhage", che il lavoro di questo stra-ordinario filmaker americano, con oltre 50 anni di ricerca incessante e con un numero in-definito di opere (oltre 300, quasi 400…) nella sua filmografiavita, è più che mai necessario 'ora' nel durante di un nuovo farsi poetico-politico dell'immagine. Filmografiavita, fino alla morte. Brakhage se n'è andato malato di un cancro che lo aveva colpito anni fa, come conseguenza del lavoro pittorico artigianaleamatoriale sulla pellicola, fatto con sostanze chimiche con le quali contaminare i fotogrammi ma anche la propria pelle, il proprio corpo. Pellicolapelle. Per un'esperienza unica del fare e del vivere cinema, che lo caratterizza fin dagli inizi, nella quale inscrivere, di volta in volta, tutta la quotidianità e stra-ordinarietà che diventano 'parte di'. Sono celebri i suoi scritti che 'rivendicano' l'esistenza 'plurale' di un'opera, che è dell'autore e di chi gli sta accanto in quel momento e in altre forme lo contamina gli offre energia strati in-visibili da aggiungere dentro gli altri. Per un film e una filmografia infiniti e mai finiti, monumentali e talmente intimi che ci penetrano al di là della visione e che ogni volta si presentano al nostro occhio e ai nostri sistemi percettivi in maniera diversa originale irripetibile. Che siano la serie dipinta a mano, direttamente sulla pellicola, delle recenti Persian oppure i viaggi di piaceredoloredesideriomorteinnamoramentosolitudine di tanti suoi kolossal familiari (un titolo per tutti, Art of vision, ma già vengono alla mente altre schegge, con o senza titolo che la memoria ritrova, mute come quasi tutto il cinema di Brakhage) sparsi nel corso del suonostro tempo senza stacco.

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L'opera di Brakhage è un immenso piano sequenza lineare e sconfinante. Filmvita. Che si sedimenta nella visione espansa, anche quando la visione non c'è, sostituita dalle sue scorie, legame intimo tra una visione e l'altra, fra un testo e il successivoprecedente. Non si può vivere senza Brakhage. I suoi sono filmterapia, filmrespiro che 'scappano' dallo schermo, la cui sacralità sta nel minarli con le nostre soggettività umori destinazioni soste ri-partenze. Brakhage ci ha insegnato a non avere paura, a 'sostenere' la visione, modificandola dall'interno nel momento in cui la si percepisce e primadopo. Quasi vent'anni fa uno dei primi Cinema Giovani nell'ambito della retrospettiva memorabile dedicata al cinema americano underground (curata da Adriano Aprà) programma The act of seeing with one's own eyes, ovvero il significato greco di 'autopsia'. Un film che ti cambia il modo di vedere (e non solo). Senza se e senza ma. Un film che non vorresti vedere, che poi non vorresti rivedere mai più, eppure ogni volta che lo incontri ti chiama a sé, dentro una sala a Rotterdam o ancora a Torino o in televisione o… Un film che quando non lo vedi, senti che non se n'è andato. E non se ne andrà. Mai. Filmmiracolo (ancora senza trattini fra le parole). Come si fa a fare una 'cosa' così… Concetto estendibile a tutta la filmografia di Stan Brakhage, che chiede di essere vis(su)ta, di non essere tenuta a distanza, di non essere a senso unico, ma di essere fatta ri-vivere e morire e sconfinare nel nostro 'esserci'. Lunedì notte 'Fuoriorario' manda una scheggia d'intervista fatta a Rotterdam 2002 e lampi – tra 'dal vero' e 'animazione' – di sue opere che 'in quel momento', quella notte, appaionosono – come – viaggi oltre la barriera del suono, odissee negli spazi del corpo (…umano, dell'immagine, del pensiero, del sogno…). E la moltitudine del nonvisto, l'immensità della sua opera (il programma speciale di Rotterdam 2002 comprendeva dieci programmi e una sessantina di titoli, talvolta commentati da Brakhage in sala, così che altre visioni percezioni sensi si aprivano nel continuo spostamento fra la linea della soggettività e dell'oggettività) si ridisegna ridisogna nella sua molteplice flagranza.

Non si può vivere senza Brakhage. Capita così che Rotterdam 2003 inserisca in catalogo due sue brevi schegge, parte dei celebri 'combined programme' del festival. Ma quei titoli sono poi introvabili nel palinsesto. Cancellati nascosti magari proiettati (ma un amico mi assicura che almeno uno è stato mostrato). Corpifantasmi di una ineliminabile presenzassenza. Brakhage non ha mai voluto 'insegnarci' (e che bello sarebbe stato averlo come 'insegnante'…, lavoro decennale fatto in Colorado). Le sue costruzioni sfuggono alla narrazione convenzionale per di-segnare nuove forme della visione e del corpo, esistente o negato allo sguardo. Il corpo di Brakhage, dei suoi figli, della moglie, della natura, di quei morti straziati dagli addetti alle autopsie che diventano insostenibili forme d'arte hard al tempo stesso d'avanguardia e classiche. Bisogna saper tornare a vedere, riacquistare la libertà istintiva di un bambino il cui sguardo non sia ancora stato manipolato dalle convenzioni (appassionate, al riguardo, alcune pagine scritte da Brakhage). Cinema anarchico, quello di Brakhage. Cinema raccontato anche nel bellissimo documentario "Brakhage" di Jim Shedden. Cinema che spesso si è espanso dall'immagine alla parola scritta, nei numerosi testi teorici dati alle stampe (in Italia è stato pubblicato solo "Metafore della visione", da Feltrinelli, da lungo tempo introvabile; sarebbe fondamentale una sua ristampa). Esemplare comple(ta)mento da far scorrere in sovrimpressione con il flusso d'immagini elaborate senza sosta nello svolgersi riavvolgersi espandersi di un'opera esplorata in una prima persona (evidenziata anche dalla firma sulla pellicola 'by Brakhage' di molte sue opere) naturalmente, ovvero con naturalezza, collettiva.


 


(*) The God of Day Had Gone Down Upon Him, film by Brakhage del 2000

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