L'ANGOLO DI CINEMAFRICA – I colori del futuro dei Mandela Boys

dumela_1La tappa romana della rassegna “Dumèla Sud Africa! Sguardi sul cinema della “nazione arcobaleno” si è conclusa domenica 24 giugno alla Casa del Cinema con la proiezione del film di Lionel Rogosin Come Back Africa

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di Alice Casalini

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La tappa romana della rassegna “Dumèla Sud Africa! Sguardi sul cinema della “nazione arcobaleno” si è conclusa domenica 24 giugno alla Casa del Cinema con la proiezione del film di Lionel Rogosin Come Back Africa (id. 1959). Restaurato dalla Cineteca di Bologna per volere degli eredi di Rogosin, Come Back Africa è stato presentato nella sua nuova veste a Venezia 2004 nella sezione Orizzonti: si tratta di un docu–fiction in bianco e nero, girato in clandestinità, con attori non professionisti, allo scopo di mostrare la reale situazione dei neri nel Sudafrica dell’apartheid. Nella città ghetto di Sophiatown si sente parlare dei tsotsi, i teppisti. Quasi 50 anni dopo, vince l’Oscar come miglior film straniero Tsotsi (Il suo nome è Tsotsi, 2005): tratto dall’omonimo romanzo di Athol Fugard, il film racconta la storia di un giovane teppista di Johannesburg che ruba una macchina senza accorgersi della presenza di un neonato, e si trova così a diventare un rapitore. Tra la violenza e il degrado della periferia della grande città, dove in un paese devastato dall’HIV, si uccide senza pensare troppo, il ragazzo inizia a pensare che esista la possibilità di un’altra vita. A poco più di dieci anni dalla fine dell’apartheid, il Sudafrica ha cambiato volto e si scontra con nuovi problemi, ma anche con una vivacità multiculturale che le hanno permesso in questi ultimi anni di sviluppare molti progetti artistici e rinnovare la produzione artistica: nuove generazioni di registi e attori, nuovi temi e nuove produzioni hanno portato i «Cahiers du Cinéma» a parlare del nuovo cinema sudafricano con il titolo La Couleur du futur.

 

Dumela_2“Dumèla Sud Africa!” è un viaggio in questa nuova realtà, ricca e interessante. Dodici cortometraggi, realizzati negli ultimi dieci anni, hanno aperto la finestra sul nuovo cinema sudafricano: il programma Mandela Boys. I corti della “nazione arcobaleno” è stato inserito all’interno di Arcipelago – Festival internazionale di Cortometraggi e nuove immagini (Roma 15-21 giugno 2007).

 

Il più datato dei corti, Corner Cuffie (1995) di Tim Greene, è anche il primo corto sudafricano con un happy end: la storia parte da una banale discussione tra un cliente nero e il proprietario greco del caffè e diventa una riflessione sulla nuova società e il nuovo spirito del Sudafrica. Sono molto sentiti e affrontati dai registi i temi drammatici come quello della violenza affrontato in And There in The Dust (2004) di Gerhard Marx e Lara Foot Newton sul dramma degli stupri, come quello della diffusione delle droghe che si ritrova nel corto di Robin Kleinsmidt, Ongeriewe (2005), sulla drammatica storia di due fratelli tossicodipendenti, e soprattutto come quello della diffusione dell’HIV affrontato nel corto Lucky (2005) di Avie Luthra, che racconta la storia del piccolo orfano Lucky.

 

Allo stesso tempo però c’è un fermento interessante che nasce dal complesso melting pot che compone la società sudafricana e che ritroviamo in diversi corti: da The Foreigner (1997) di Zola Maseko che racconta l’amicizia tra un ragazzo di strada di Johannesburg e un fruttivendolo immigrato, passando per Sa/x (2004) di Gili Apter che segue l’evoluzione di una ragazza ricca che esce dai quartieri alti per scoprire la realtà delle township, fino ad arrivare a Beyond Freedom (2005) di Jacquie Trowell che ha intervistato diversi personaggi reali, compresi diversi artisti, sul tema della pace.

 

In Beyond Freedom troviamo anche alcuni interpreti di Bunny Chow (id., 2006) di John Barker, il più recente dei film scelti per “Dumèla Sud Africa!”: il titolo del film fa riferimento a un tipico panino del Sud Africa ripieno di carne e verdure che Barker trasforma nel simbolo della diversità culturale, religiosa e linguistica del Sudafrica contemporaneo. Nella sua divertente follia linguistica, Bunny Chow è anche il più ironico dei film presentati a “Dumèla Sud Africa!”, che seppur ambientati quasi tutti nel post-apartheid, hanno ancora vivo il dramma di quegli anni: in particolare Forgiveness (id., 2004) di Ian Gabriel e Drum (id., 2004) di Zola Maseko, due registi presenti a Roma in occasione della rassegna.

Dumela_3Drum, ambientato negli anni ’50 racconta la storia del giornalista Henry Nxumalo che decide di raccontare la condizione inumana dei contadini del Transvaal e che continuerà a raccontare le ingiustizie del suo paese sulla celebre rivista «Drum». Forgiveness invece affronta il tema del perdono e della difficile convivenza tra vittime e oppressori: su una possibile riconciliazione per una pacifica convivenza s’interroga molto cinema africano contemporaneo, da Daratt (2006) di Mahamat-Saleh Haroun, a Ezra (2006) di Newton Aduaka, e questi temi sono anche alla base di Red Dust (2004) di Tom Hooper nel quale un poliziotto condannato per sevizie si trova a dover chiedere l’amnistia a una delle sue vittime.

 

Nella complessità di argomenti e temi che s’intrecciano oggi nella società sudafricana non si può dimenticare l’HIV e le consequenze tragiche a causa dell’ignoranza e della diffidenza. Il “virus” è al centro della storia del film di Darrel Roodt, Yesterday (2004): la protagonista è una giovane donna, Yesterday, che scopre di avere l’HIV e trova la forza di sopravvivere per riuscire a vedere il primo giorno di scuola di sua figlia Beauty. Nella cornice affascinante del territorio zulu sudafricano, tra il verde intenso e la luce forte e insistente, si consuma il dramma di una malattia difficile da accettare e spiegare. Yesterday è anche il primo film girato interamente in zulu, altro segno di un Sudafrica dai mille volti e culture.

 

Tra i drammi e le difficoltà di una nazione che deve ancora fare i conti con il suo passato, “Dumèla Sud Africa!” prova a proporre un’immagine più articolata e complessa di una società vivace che cerca di trarre forza anche e soprattutto dalla sua diversità culturale che la caratterizza.

 

Articolo a cura di www.cinemafrica.org 

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