"L'asilo dei papà" di Steve Carr

Eddie Murphy ritrova lo Steve Carr del “Dott. Doolittle 2” che si limita semplicemente a non dirigerlo, lasciandolo fare, seguendolo divertito in coreografie fisiche che possono permettersi in pochi.

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Checchè ne dicano molti, Eddie Murphy non è assolutamente un attore finito. Ha semmai sbagliato, in termini chiaramente commerciali, alcune opere (peraltro più che apprezzabili, dove lo mettiamo Un vampiro a Brooklin?), ne ha azzeccate all'ultimo momento altre (la serie del Dott. Doolittle), ma sempre mettendosi in gioco e continuando a macinare metri e metri di celluloide senza preoccuparsi troppo del giudizio del pubblico. Ne L'asilo dei papà ritrova lo Steve Carr del Dott. Doolittle 2, il chè significa pane per i suoi denti, visto che Carr, in grado comunque di indovinare la cornice in cui far muovere il comico americano, si limita semplicemente a non dirigerlo, lasciandolo fare, seguendolo divertito in coreografie fisiche che possono permettersi in pochi. In più, lo inserisce, almeno stavolta, all'interno di una vicissitudine familiare che tocca almeno un padre su due, e cioè la convivenza con un figlio piccolo, nei confronti del quale ci si trova impreparati, immaturi, fuori parte insomma. E' questo allora il segno di un'opera centrata sul paradosso (il protagonista Murphy, in crisi nel rapporto con il figlio piccolo, organizza con un suo amico una sorta di asilo familiare, in cui cominciano a badare ad un numero sostanzioso di bambini), organizzata su un epicentro familiare subito contraddetto dall'esclusione dell'elemento femminile e scandita da un gioco frenetico e continuo che rovescia punti di vista e fende l'intimità di un luogo improvvisamente come aperto (la casa diventa una sorta di parco giochi continuato, i due uomini non fanno altro che seguire il corso di un'improvvisazione che li riporta quasi allo stadio infantile). In questo modo Murphy entra ed esce continuamente dal suo personaggio (movimento che peraltro si porta dietro già dai primi film con Landis), adottando di volta in volta uno sguardo vergine in cui ritrovare l'essenza di un momento (appunto la paternità) come rigenerato. In questo senso infatti è come se Carr, abolendo ogni tipo di referente esterno alla casa in cui viene ri/giocata un'esistenza, superasse il tono di opere apparentemente analoghe (Tre uomini e una culla ad esempio) proprio nello sviluppare una costruzione continuamente precaria, quasi in assenza di scrittura, per rifarsi chiaramente alla concezione di un cinema che non soffoca mai i corpi, lasciandoli in uno stadio intermedio (nel caso di Murphy, tra la fanciullezza e la maturità) da cui non escono più.

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Titolo originale: Daddy Day Care
Regia: Steve Carr
Sceneggiatura: Geoff Rodkey
Fotografia: Steven B. Poster
Montaggio: Christopher Greenbury
Musiche: David Newman
Scenografia: Garreth Stover
Costumi: Ruth Carter
Interpreti: Eddie Murphy (Charlie Hinton), Jeff Garlin (Phil), Steve Zahn (Marvin), Regina King (Kim Hinton), Kevin Nealon (Bruce), Jonathan Katz (Sig. Dan Kuniz), Siobhan Fallon (Peggy), Lisa Edelstein (Madre di Crispin), Lacey Chabert (Jenny)
Produzione: 20th Century Fox/Davis Entertainment/Revolution Studios
Distribuzione: Columbia Tristar Films Italia
Durata: 93'
Origine: USA, 2003

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