LOCARNO 57 – Proiezioni bagnate… tra film "carini" e di "denuncia"

Apertura con "Les fautes d'orthographe" di Jean-Jacques Zilbermann, film adolescenziale simile a troppe opere "carine" viste negli scorsi anni a Locarno. Nella sezione Cinema del presente, l'americano "Uncovered: The War on Iraq", raccolta di testimonianze "segrete" sulla guerra e l'amministrazione Bush.

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Con la proiezione bagnata, e perciò un po' al chiuso e un po' in Piazza Grande, del film francese Les fautes d'orthographe di Jean-Jacques Zilbermann ieri sera si è aperta la 57° edizione del Festival del Film di Locarno. Un'edizione che non si discosta dalle linee guida delle passate due sotto la direttrice di Irene Bignardi, con un concorso internazionale che cerca di raccogliere il raccoglibile tra tutti quei film che non vanno a Cannes o Venezia (ancora vivo è il ricordo dello "scippo" veneziano di Il ritorno) e che, tra decine di sezioni e quasi 500 film, cerca di mantenere alta l'attenzione al cinema come mezzo per indagare il mondo e le realtà sociali che lo compongono in tutte le sue svariate forme, fiction, documentario, pellicola o digitale che siano.

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Per ora, a giudicare dal film di apertura, l'interesse delle proiezioni "da vetrina" (Concorso e Piazza Grande) è sempre per un tipo di cinema "carino", giovanile per temi e per aspirazione, vicino al gusto del pubblico, ma capace, magari, di conquistare anche chi al cinema chiede qualcosa in più di un intrattenimento da festival. Il film di Zilbermann, insomma, che racconta la storia dell'educazione alla vita di un adolescente in un collegio francese dell'inizio degli anni Settanta, tra germi di ribellione e violenta rabbia antifamiliare, somiglia a tante altre pellicole di ambiente collegiale, e soprattutto a mille altri film visti negli anni passati a Locarno: simpatico, divertente, carino, con attori giovani che conquistano e storie che indignano e insieme intrattengono.

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In linea con le passate edizioni, ma sul versante del documentario e nell'ottica di un cinema che indaga e non altera il reale, è il film americano Uncovered: The War on Iraq di Robert Greenwald (Cinema del presente), documentario d'inchiesta che ricostruisce i retroscena della guerra in Iraq e l'humus culturale dei neo-cons che sostengono l'amministazione Bush, intervistando tutti gli uomini e le donne che, militari o diplomatici, esperti dei servizi segreti o agenti della Cia, hanno lavorato per una guerra che, a giudicare dall'impatto sull'opinione pubblica, è destinata a segnare ancora a lungo le nostre coscienze.


Gerenwald raccoglie testimonianze, accumula interviste e materiale televisivo, e non vuole superare lo schema monocorde dell'inchiesta televisiva: un intento certo lodevole, oggettivo nei limiti del mezzo, ma se le cose che si sentono dire a proposito di armi di distruzione di massa e "pistole fumanti" fasulle sono sempre sconvolgenti, e se ancora una volta la sola presenza di Bush basta a smuovere l'ilarità e, di conseguenza, la rabbia dello spettatore, si sente troppo l'assenza di un progetto cinematografico forte, capace di sostenere visivamente, e non solo moralmente, le migliaia di parole dette in un'ora e mezza di sole interviste.


Di buono c'è, comunque, che ancora una volta si è avuto la sensazione che gli uomini e le donne che in questa guerra non hanno lavorato nei retroscena, ma davanti alle telecamere e dietro le scrivanie del potere, i vari Bush, Rumsfeld, Cheney, Powell, Rice e Wofitz che da anni ci propinano le loro bugie sulla guerra preventiva, per quanto in grado di rivincere le prossime elezioni, messi di fronte all'impietosità della macchina da presa e al giudizio muto del pubblico di tutto il mondo, abbiano già dimostrato di aver perso la partita con la Storia.

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