#Locarno77 – Il cinema è un rompicapo. Incontro con Jane Campion

Nell’incontro con il pubblico, la regista neozelandese parla degli esordi lontana dalla famiglia, di indipendenza e di libertà, che le hanno permesso di coltivare il suo talento per la narrazione.

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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L’ultimo incontro previsto dell’edizione numero 77 del Festival di Locarno è Jane Campion, la prima donna ad aver vinto la Palma d’oro con Lezioni di Piano, quindi a ragione considerata un po’ un simbolo di una svolta o di un cambiamento in atto. Le domande sono soprattutto rivolte ad esplorare gli inizi della sua carriera, di come fosse interessata ad una indipendenza sinonimo di libertà e della possibilità di costruire uno sguardo, una visione da servire scegliendo tra i tanti modi di guardare, uno dei motivi per allontanarsi presto dalla famiglia.
“Cosa sei, come sei, cosa vuoi fare? Sono domande difficili. È difficile definirsi all’ombra dei genitori, facevo finta di non averli. Volevo andare oltremare, a Londra o in Australia, dove ho vissuto poi gran parte della mia vita. La scuola non mi andava molto a genio, è un po’ come l’esercito, bisogna obbedire. Se devo ascoltare un’insegnante che mi dice quale pagina aprire, posso farlo da sola a casa. Mi piace la libertà, che mi ha reso una ribelle. L’adolescenza è una transizione difficile, anche per il suo carico ormonale, tutto è contraddittorio. Forse avere 14 anni è l’età più difficile. Nel mondo digitale di oggi c’è molta crudeltà ed i giovani hanno bisogno di essere tutelati dalla comunità. Ora mi sembrano un po’ abbandonati a loro stessi.”

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Gli studi di antropologia le hanno permesso di sviluppare interessi per l’unità e le diversità del mondo, dove ogni singola parte possiede un linguaggio e dei propri modi di pensare, ogni cultura ha dei miti da esplorare. E il viaggiare le ha consentito di indagare su sé stessa in solitudine, ma l’ha fatta sentire anche molto triste, lontana dai genitori.
“Certe cose ti rendono forto ed indipendenti. A Londra ad esempio ho iniziato ad andare al cinema. Alla scuola d’arte ho imparato molte cose sul guardare e sul vedere, ho imparato come fare film. Mi ha permesso di scoprire di essere una narratrice. Guardare è una lingua da interpretare, come leggere un’inquadratura, come fare economia della visione, come organizzare una scena. Io scrivo e soprattutto disegno. Il lavoro con gli attori, è un rompicapo. Cerco di immaginare tutti i punti di vista. Poi alla scuola di cinema ho incontrato persone che mi hanno influenzato e sostenuto. Molti docenti lavoravano alla TV ma non andavano al cinema, e noi studenti ci siamo aiutati tra noi.”
Avvicinata alla New Wave australiana anni 80/90, Jane Campion preferisce definirsi come un prodotto del suo tempo, ispirata dai film visti nei Festival in giro per l’Europa, ed influenzata da tutta serie di artisti che le piacciono:  Spike Lee, Jim Jarmusch, Roman Polanski, Paul Thomas Anderson, Francis Ford Coppola. Parlando di gusti, e andando sul contemporaneo, non dimentica di citare Justine Triet e Julia Ducornau, entrambe vincitrici della Palma d’oro al Festival di Cannes con Anatomia di una caduta e Titane.
“La mia prima esperienza nel fare un film (Peel) è stato un incubo. Sono finita in ospedale, è stato molto duro e doloroso. Dopo ho imparato a gestire lo stress, con lo yoga e dormendo abbastanza. Mi sono detta: speriamo che non si sappia in giro, altrimenti come troverò qualcuno disposto a farmi lavorare! Una persona mi ha detto anche di gettarlo via. Che strano, a volte le persone crudeli ti aiutano. Pensavo, perché non riesce a vedere quello che vedo io? Alla fine ho ridotto la durata da 16 a 9 minuti. Poi è arrivato il premio (sempre a Cannes), del tutto inaspettato. I primi film, quelli del debutto, sono pieni di energia, che si fanno senza pensare ai critici. In Sweetie la protagonista entra in scena dopo mezz’ora, e sovverte la storia, la stravolge. Io sono un’ottimista, mi faccio guidare dall’ispirazione, questo non fa di me un filosofo.”

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Quando il film è uscito in sala, ha diviso il pubblico. Questa esperienza è stata per lei molto utile. Di solito era abituata a confrontarsi con gli amici, da cui non arrivava nessuno commento critico. Questo è stato l’inizio di una lunga carriera, tra alti e bassi, ed anche qualche accusa di arroganza che respinge al mittente. Su Sweetie, la regista neozelandese, racconta un aneddoto legato al reperimento dei fondi, non proprio ortodosso, per spiegare di come i soldi possano arrivare da dove meno te lo aspetti, per simpatia o semplicemente per risparmiare sulle tasse. La proiezione in Piazza Grande di Lezioni di piano, questa donna vittoriana contesa e sospesa tra la passione ed il possesso, offre lo spunto per parlare anche dei problemi di genere, della scelta degli attori al momento del casting. Del potere dell’amore e dei pericoli delle relazioni romantiche, la dipendenza e la malattia.
“La prima ispirazione risale probabilmente a quando avevo 10 anni. Ero malata ed ero in camera di mia mamma, dove alla parete era affisso un quadro di Rousseau che ritraeva una giovane donna vittoriana. Il femminismo è una questione complessa, il modo in cui le donne gestiscono la propria vita, va compreso che anche loro fanno parte del patriarcato e che alcune donne vogliono sottomettersi. Quando ho incontrato Harvey Keitel per Lezioni di piano c’erano molti attori che non accettavano di lavorare per una donna regista, ma lui è un femminista. Il lavoro di casting è molto complicato, è una fase che arriva molto presto, e piuttosto ansiogena. Con i grandi attori ci parli, è difficile fare dei provini, certo si possono fare dei grossi errori, ci vuole coraggio. Harvey teneva molto a quel ruolo e me lo ha detto chiaramente”.

Nell’ultima parte dell’incontro, la cineasta racconta che in questo momento sta dirigendo una scuola gratuita in Nuova Zelanda, dove gli studenti non pagano, anzi vengono pagati. Confessa di essere una socialista, cresciuta pensando ad un mondo con delle opportunità per tutti, non solo per chi nasce ricco. Grazie a Netflix ha creato una comunità, e spera di riuscire a trasmettere il suo amore per il Cinema ed un entusiasmo che sia più forte della paura.

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