"Lourdes", di Jessica Hausner
![lourdes](http://www.sentieriselvaggi.it/wp-content/uploads/file/247/33531/image/jzrvxsdapt12242.jpg)
E’ nell’altrove in-filmabile – che sia la fede, il miracolo o la felicità cantata dalla Seydoux nel bellissimo e ambiguo finale – che Lourdes formula la sua amara riflessione sul dolore e sulla distanza tra gli esseri umani, in attesa di un segno che di per sé è già negazione. In concorso a Venezia 66
![lourdes di jessica hausner](https://i0.wp.com/www.sentieriselvaggi.it/wp-content/uploads/file/247/33531/image/jzrvxsdapt12242(1).jpg?resize=400%2C285&ssl=1)
Anche stavolta come nel precedente Hotel, nonostante un iniziale sospetto di freddezza, la Hausner riesce ad andare oltre il corretto esercizio di stile, infondendo al proprio film una tessitura emotiva tra i personaggi quasi impalpabile, capace però di disperdere la pericolosa programmaticità potenziale della pellicola in piccole sotto-trame fatte di relazioni abbozzate, desideri e paure esistenziali sostanzialmente esterne a un qualsiasi teorema etico-religioso. Lourdes, a dispetto del tema affrontato, è in realtà un film profondamente laico, attaccato a personaggi legati tra loro in un contesto sociale sotterraneamente violento e alienante, dettato da un uso claustrofobico degli interni ricorrente nella filmografia della regista austriaca. Qui l’attesa del miracolo e la rappresentazione oggettiva del rituale assumono il tratto della testimonianza, della registrazione esterna, per certi versi entomologica, senza però una viscerale ricerca del sacro e della carne. E’ anzi ricca di sospensioni quasi rarefatte l’opera della Hausner, che non lesina lunghi piani sequenza a macchina fissa, né il ritorno a un uso dello zoom spesso lento e insistito che sembra quasi voler immortalare brevi istanti ipnotici in cui i personaggi guardano in fuori campo. E’ infatti tutto in un altrove in-filmabile – che sia la fede, il miracolo o la felicità cantata dalla Seydoux nel bellissimo e ambiguo finale – che Lourdes formula la sua amara riflessione sul dolore e sulla distanza tra gli esseri umani, in attesa di un segno che di per sé è già negazione.