Mondovisioni – Intervista al curatore Sergio Fant

Abbiamo incontrato Sergio Fant curatore del programma di Mondovisione, rassegna di documentari del Festival di Internazionale. Con lui abbiamo discusso di regia al femminile, impegno e cinema sociale

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Abbiamo incontrato Sergio Fant, curatore della sezione di documentari da tutto il mondo del Festival dell’Internazionale Mondovisioni, che si tiene a Ferrara, ma che lavora per la Cineteca di Bologna e cura i programmi di diversi Festival. Con Mondovisioni ha presentato e distribuito in Italia 20 days in Mariupol, vincitore dell’Oscar per migliore documentario nel 2023. Abbiamo discusso con lui di cosa sia Mondovisioni, dell’importanza del documentario nel panorama internazionale e dell’edizione di quest’anno caratterizzata da un presenza sempre più massiccia di prodotti internazionali e caratterizzati, soprattutto, da importanti voci femminili.

Cos’è Mondovisioni e come si colloca nel Festival dell’Internazionale?

Mondovisioni nasce alla terza edizione del Festival nel 2009, io già collaboravo con la rivista dell’Internazionale, come autore delle pagine di cultura segnalavo i documentari che ritenevo più interessanti. In quel periodo c’era un fiorire di documentari di attualità o politici, su tematiche di cui la rivista si occupava, si è deciso che insieme ai panel e talk, questi temi potevano essere trattati anche con lo strumento dei documentari. Dal 2010 Mondovisione è una rassegna che esiste a Ferrare nel contesto di affezionati al Festival, poi i film sono distribuito entro tutto l’anno ed è una parte vitale del progetto.

 

Come vengono accolti nelle sale questi film?

I film sono tutti scelti dai grandi festival internazionali così cerchiamo di dare una garanzia di qualità. Proiettare questi documentari permette alle sale di dar vita eventi su determinate cause o organizzazioni per creare visibilità, sensibilizzazione, racconta fondi e creare partnership. L’associazionismo che è un tessuto vitale del nostro paese.

 

Come descriveresti l’edizione di quest’anno (che si è tenuta dal 4 al 6 ottobre scorsi)?

L’anno scorso al Festival abbiamo portato film che rispecchiavano uno spirito abbastanza grigio, oscuro, erano tutte storie caratterizzate da una certa pesantezza, che andava in particolare consonanza con lo spirito dei tempi. Quest’anno ci siamo appassionati a storie che raccontavano di rivalsa e di slancio, anche se parlano di situazioni durissime: Black Box racconta la storia di una donna giapponese che è riuscita a denunciare, per la prima volta pubblicamente un caso di violenza sessuale; The Union documenta come un gruppo di lavoratori di Amazon riesce a creare un primo sindacato all’interno di uno stabilimento dell’azienda in America; Farming Revolution parla invece del un milione e mezzo di agricoltori indiani che riescono a coalizzarsi e protestare per bloccare leggi dell’attuale governo Modi, che rischiavano di modificare per sempre il mercato dell’agricoltura in India. Un esempio evidente è I Shall Not Hate che parla della situazione a Gaza e in Palestina, che è un altro momento tragico di questi anni, ma lo fa attraverso un personaggio straordinario, come il dottor Ambuelaish, che avendo vissuto tragedie personali immense, cerca di portare avanti un messaggio di speranza e di dialogo. L’edizione del 2024 potrebbe essere vista come il tentativo di saltare fuori dal buco da dove siamo finiti, di partire dal negativo per tirare fuori qualcosa di positivo, trovare nuove energie. Noi ci occupiamo di storie che nascono da momenti di attualità e da crisi, ma ci piacerebbe che queste situazioni non portino solo sconforto, ma anche occasioni di dialogo e messaggi di speranza. Spesso in questi film si riflettono situazioni che possiamo vedere traslate nel nostro contesto, come in Democracy Noir, che si concentra sull’Ungheria e sulla sua deriva nazionalista-populista, attraverso cui si possono tracciare evidenti paralleli con la situazione italiana.

Nell’edizione di quest’anno, molti dei documentari hanno protagoniste femminili e sono diretti da registe. Come mai questa scelta?

Per fortuna non ragioniamo in base a quote, su 6 film di quest’anno 5 sono diretti o co-diretti dai registe donne, questa è una tendenza chiara nel documentario. Ma anche le edizioni passate erano a forte presenza femminile. Vengo giusto da un altro panel dove c’erano tre donne sul palco che discutevano di Gaza e di diritto internazionale. Quest’anno abbiamo una storia importante, dove per la prima volta parliamo in maniera così diretta di violenza sessuale, prima avevamo raccontato le donne anche in altre situazioni, tra violenza domestica e violazioni dei diritti umani, per lo più in un contesto come il Giappone, dove è ancora tabù.

La ragione per cui abbiamo così tanti film girati da registe, è perché è normale che si così, certe volte si dice abbiamo metà film, diretti da donne regista come se fosse uno sforzo, a Mondovisione 2024 è semplicemente successo.

 

 

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