Monsters – La storia di Lyle ed Erik Menendez, di Ryan Murphy e Ian Brennan

Seconda fantastica stagione che si sposta dall’analisi del serial killer ai mostri creati dalla trasformazione delle verità in un simulacro che raccoglie gli umori dell’opinione pubblica. Su Netflix

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Quali siano i modi giusti di stabilire la verità è ancora, e da sempre, argomento controverso. Nell’era digitale annegata nell’informazione fluida, il detto di José Ortega y Gasset, Non si può dire che il poeta insegua la verità, visto che la crea, è diventata una frase dimenticata, ed il verbo patrimonio della massa, orientata da qualcuno ad una tardiva opera di penitenza secondo le linee di una “giusta morale”. Nonostante segua la ricostruzione processuale dei fatti accaduti la sera del 20 agosto 1989 dentro una villa a Beverly Hills fedelmente, il secondo capitolo della serie Monster provoca, naturalmente, reazioni contrastanti.

Due ragazzi poco più che adolescenti, Erik e Lyle Menendez, fanno irruzione in casa ed ammazzano i genitori José e Kitty, trucidati dai colpi esplosi a distanza ravvicinata con dei fucili da caccia Mossberg calibro 12. Arrestati nel marzo dell’anno successivo, provano a difendersi dalle accuse di avidità sollevando un vespaio di vergogna, proclamandosi vittime loro stessi, bersaglio di abusi sessuali subiti dal padre sin da bambini. Seguendo la strategia studiata dalla legale Leslie Abramson, costruita punto per punto sopra un libro dal titolo When a Child Kills, che non gli eviterà l’ergastolo a vita.

La prima stagione della serie antologica di Ian Brennan e Ryan Murphy, The Jeffrey Dahmer Story, era interessata a tracciare la genesi dell’orrore, sul modello del rimpianto Mindhunter, a trovare delle cause, a scavare dentro la mente torbida del serial killer. Il mostro stavolta ha più teste. Teste vere o fittizie, nate da un escalation nel coinvolgere l’opinione pubblica nel circuito mediatico televisivo (emblematico il ricordo della vicenda che coinvolge O.j. Simpson), destinata a ricoprire negli anni a venire un ruolo sempre più scivoloso con l’avvento di internet e del flusso ininterrotto della rete. L’indignazione provocata dallo sguardo osceno altro non è che un campanello d’allarme sui pericoli di un uso disinvolto della giustizia, e la rappresentazione volutamente manipolatoria un monito al grado di ambiguità crescente determinata da mondo privo di fondamenta. Un aspetto riscontrabile per certi versi in Disclaimer, dove Alfonso Cuarón sceglie un approccio multiplo, che cancella di fatto le certezze, smontando gli assunti con un semplice cambio dell’angolo visivo.

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Sul cast artistico i dubbi si diradano, l’altissimo profilo degli interpreti, basti citare le superstar Javier Bardem e Chloë Sevigny, numi tutelari sfregiati di Cooper Koch e Nicholas Chavez, rendono questa anomala serie forense un prodotto che si solleva di molto dagli standard Netflix. Ma le sole doti attoriali non spiegano il risultato ottenuto, frutto di uno sforzo produttivo che non abdica né sul lato estetico né su quello della scrittura. E lo rende abbastanza solido da resistere ai commenti piovuti da ogni parte, soprattutto a quello diffuso da Erik su X tramite sua moglie, Tammy Menendez, che recita così: È con il cuore pesante che dico che credo che Ryan Murphy non possa essere così ingenuo e impreciso riguardo ai fatti della nostra vita da farlo senza cattive intenzioni.

 

Titolo originale: Monsters: The Lyle and Erik Menendez Story
Creata da: Ryan Murphy, Ian Brennan
Regia: Carl Franklin, Paris Barclay, Michael Uppendahl, Max Winkler, Ian Brennan
Interpreti: Javier Bardem, Chloë Sevigny, Cooper Koch, Nicholas Alexander Chavez, Ari Graynor, Nathan Lane
Distribuzione: Netflix
Durata: 55′ circa ogni episodio (9)
Origine: USA, 2024

La valutazione della serie di Sentieri Selvaggi
4.3
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Il voto dei lettori
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