Morto Ulay, il pioniere della performing art

Ci lascia a 76 anni una delle figure più importanti dell’arte performativa della seconda metà del Novecento. Celebre il sodalizio artistico e sentimentale con Marina Abramović

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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L’artista tedesco Ulay, pseudonimo di Frank Uwe Laysiepen, è morto il 2 Marzo a 76 anni nella sua casa di Lubiana, in Slovenia dove viveva dal 2009. Celebre per le performance artistiche degli anni Settanta/Ottanta effettuate insieme alla compagna di quegli anni Marina Abramović, era da tempo malato di cancro. E forse bisognerebbe partire proprio dal documentario del 2013 Project Cancer diretto da Damjan Kozole per raccontare il senso genuino della vita di un uomo sicuramente controverso ma generosissimo nella volontà di fare della propria esistenza il campo di sperimentazione della sua arte inquieta. Quando nel 2009 apprese di avere un cancro linfatico non si fece abbattere dalla tragicità dell’annuncio: “Il mio oncologo mi ha detto che la mia aspettativa di vita era da quattro a sei mesi, è stato scioccante“. Pensò invece di fotografarsi e riprendersi mentre visitava i luoghi della sua infanzia e quelli a lui cari, riflettendo continuamente sul senso dell’anima e della necessaria catarsi di fronte alla prospettiva dell’imminente morte.  Dalla lotta con il tumore, pur debilitato, uscì vincitore e continuò a fare sporadiche iniziative nei musei di tutto il mondo. In questi ultimi anni ha anche avuto modo di avvicinarsi alle tematiche ambientali, in particolare all’argomento dell’acqua e della sua salvaguardabilità. Così nel 2012 ha creato l’Earth Water Catalogue, progetto multimediale che raccoglie un ampio corpus di opere realizzate da artisti di tutto il mondo, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica.

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Un approdo esistenziale certamente non preventivabile per un uomo dalla sua biografia.  Nato nel 1943 a Solingen, in Germania, è come molti della sua generazione figlio ribelle di un gerarca nazista. Nonostante sia sposato e abbia un figlio, nella seconda metà degli anni Sessanta lascia infatti il Paese col quale avrà sempre un rapporto conflittuale e si trasferisce ad Amsterdam per i primi lavori con le Polaroid.  Si allontana definitivamente dalla Kölner Werkschulen di Colonia alla quale nel frattempo si era inscritto e comincia un intenso lavoro di analisi fotografica, ritrattistica e perfino aforistica sulla cultura di travestiti e transessuali come nelle bellissime serie Fototot e There is a Criminal Touch To Art, entrambe del 1976. Come riconoscerà la stessa Marina Abramović nella sua biografia Attraversare i muri – Un’autobiografia Ulay non aveva grandi studi alle spalle (era perfino un ingegnere mancato!) ma aveva una spiccata sensibilità per il reale e la passione del canto contro. Fedele al motto da lui stesso coniato “L’estetica senza etica è cosmetica” a differenza della sua partner rimarrà sempre lontano dai riflettori. Gli autoscatti coi quali riprendeva la semplice compresenza dl maschile e del femminile all’interno del suo stesso viso, provocatoriamente pittato in due per denunciare la coatta separazione che la società impone all’individuo, sono ancora adesso capisaldi di tante indagini di genere. Proprio in quegli anni di furore artistico incontrerà la donna di origine serba con la quale stringerà un rapporto fortissimo, certamente foriero di tante famose performance ma spesso distruttivo sul piano individuale. È proprio durante un happening che i due si conoscono nel ’76. Entrambi nati il 30 Novembre ma a tre anni di distanza l’uno dall’altra sembrano attrarsi fatalmente facendo sì che la loro personale ricerca artistica sfoci in un un unicum performativo straordinario. Famosissima ad esempio l’esibizione Imponderabilia realizzata nel 1977 a Bologna presso la Galleria Comunale d’Arte Moderna, dove i due artisti si situano completamente nudi nei pressi di uno stretto passaggio costringendo gli spettatori che devono passare a prendere una decisione su chi dei due, l’uomo o la donna, sfiorare nell’atto dell’attraversamento.

Nei dodici anni del loro sodalizio spingono consapevolmente il loro amore verso i limiti estremi della rappresentazione: in  AAA-AAA,  ad esempio, si gridano in faccia fino a che uno dei due cade esausto; in Relation in time si legano i capelli in unico nodo restando uno alle spalle dell’altro per 16 ore; e in Breathing in / Breathing out attuano la provocazione più morbosa baciandosi per 17 minuti dopo essersi tappati il naso con filtri di sigaretta fino a quando cedono di schianto per gli effetti dell’anidride carbonica espulsa dall’altro. Anche la fine della loro relazione diventa occasione concettuale per la riflessione proposta da The Lovers: The Wall Walk in China quando in novanta giorni percorrono a piedi la grande muraglia cinese partendo dai capi opposti per dirsi definitivamente addio incontrandosi al centro di questo iconico luogo. Se l’accusa di spettacolarizzazione della performing art è stata una critica costante nella carriera della coppia la sopravvenuta differenza d’approccio all’arte tra i due è riscontrabile nel video che nel 2010 fece il giro del mondo. Quando durante The Artist is Present, in cui i visitatori venivano invitati a sedersi di fronte all’artista serba fissandola negli occhi per qualche minuto, appare inopinatamente tra di essi proprio Ulay, Converse ai piedi e giacca casual, la fin lì statuaria Abramović si apre al pianto. Si stringono per qualche secondo le mani e in quel lieve tocco Ulay sembra trasmetterle tutta la catarsi della fine di un grande amore. Speriamo che sia morto con uguale serenità interiore.

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