Nessun uomo è un’isola, di Dominique Marchais

Un cinema che non ha nulla di “visibilmente” straordinario. Ma che ha la lucidità di porre la questione davvero centrale, l’utopia, e la forza di far emergere le eccezioni dall’ordinario

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Un’autostrada, all’improvviso, attraversa i campi e squarcia il paesaggio. Qualcosa di artificiale, “brutale”, sconvolge conformazioni secolari, è una ferita che rimette in discussione l’aspetto e la tenuta delle cose. Come ritrovare l’equilbrio? Come far convivere l’asfalto con il fiore d’arancio e il carciofo selvatico? Dominique Marchais riparte da lontano, dai comuni del Trecento, raccontati nell’Affresco del buono e del cattivo governo di Ambrogio Lorenzetti, dipinto sulle pareti del Palazzo Comunale di Siena. Un’allegoria, ad essere esatti, e quindi una porta verso un’altra dimensione, quella dell’idea espressa attraverso il simbolo, del riferimento concreto che si fa segno di una visione. Del resto, come racconta Chiara Frugoni, la storica che descrive l’affresco in tutte le sue implicazioni, l’ideologia che passa attraversa le immagini del Lorenzetti non si rispecchia nella realtà effettiva delle città e delle campagne del 1338. Lo scarto, allora come oggi, è fatale. Epperò resta intatta l’evidenza di un pensiero che è una verità concreta, al pari dei fatti, degli eventi, delle traiettorie delle forze materiali. C’è il dato storico della presa di coscienza di una società che vuole finalmente essere laica, smarcata dalla sacralità immobile delle gerarchie e degli ordini imposti. Ma, ancor più, c’è la tensione progettuale di un disegno armonico da realizzare nella pratica quotidiana. Che è questione “politica” eterna.

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In fondo, ci si muove sempre lungo due ruote del tempo differenti. Quella della contingenza, che oscilla tra il ritmo faticoso della quotidianità da portare avanti e l’affanno dell’attualità che incalza, dell’urgenza da risolvere. E poi c’è la ruota maiuscola, quella dei grandi sogni da avverare e della storia da compiere. Marchais si muove tra le due ruote. Ed è forse per questo che attraversa i paesaggi di Lorenzetti con la stessa attenta precisione con cui percorre i luoghi “veri” de suoi viaggi. Al punto che le figure dell’affresco, per lui, sembrano aver quasi la stessa importanza delle persone incontrate lungo il cammino. Come se tra le immagini e la realtà non ci fosse che la differenza di una dimensione. Ed è proprio quella dimensione il punto, la distanza da colmare, per realizzare l’idea o forse, ancor più, per dare alla realtà la forma di un’idea.

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È tutto lavoro, quindi energia e trasformazione. Ecco. Nel cinema di Marchais il paesaggio è “vivente”, come suggeriva il titolo della bella retrospettiva organizzata dall’ultimo Festival dei Popoli. Un paesaggio che “proietta” la politica, mostrandone gli effetti. E che, necessariamente, si modifica a seconda delle forze che lo attraversano e delle persone che lo abitano. In La ligne de partage des eux, il lavoro precedente sui territori della Loira, si raccontava la crisi del progetto, l’incapacità politica non tanto di difendere il paesaggio dalle trasformazioni – come se il “quadro” della campagna fosse condannato a descrivere una specie di paradiso georgico, un temps des grâces inviolabile – quanto di garantirne la vitalità, la possibilità di un dialogo fertile, necessariamente mobile, con il tempo. Ora, in Nessun uomo è un’isola, si scompaginano le carte, si ribaltano le prospettive. Del resto, come dice Manfred Hellrigl, il responsabile del fantascientifico ufficio delle “questioni future” del land austriaco del Vorarlberg, quello che si è applicato sinora è uno schema verticistico, che ha demandato alle istituzioni, agli amministratori, al popolo degli “eletti”, il compito di prendere le decisioni valide per la collettività. Ma è un modello che continua a rivelarsi fallimentare rispetto alle nuove sfide, le crisi ecologiche, i cambiamenti climatici, gli squilibri delle dinamiche economiche globali. Forse è il momento di un altro approccio, diffuso, orizzontale, circolare fate voi, per cui ognuno, con le sue idee e azioni, con le sue intuizioni e proposte, persino quelle più balzane, può contribuire a definire le scelte, le strategie e le risposte. Fine della rappresentanza, forse. Vero, ma solo a partire dalla piccola scala. Ecco il punto. Se quest’idea orizzontale può rimandare ai mondi aperti della rete globale, occorre ricordarsi che l’accesso alla connessione avviene sempre da un punto “singolare”, che le maglie si delineano intorno a nodi ben individuabili, che hanno la loro tenuta e la loro densità.

Il locale come ultimo territorio dell’utopia dice Marchais con le parole di Françoise Choay. E non è il segno di un ripiegamento al passato. Né la volontà di costringere il mondo nell’imbuto di un’astrazione tirata fuori dal contesto. Il rimando a Lorenzetti non è una nostalgia da arts and crafts, un sogno alla William Morris di una società da rifondare secondo gli insegnamenti delle virtù “artigiane” di un medioevo fantastico. È la sponda per rilanciare quest’intuizione di un equilibrio sempre mobile, in divenire, frutto di adattamenti, rielaborazioni, strategie concrete. Il sogno da avverare richiede lavoro quotidiano. E quindi si costruisce a partire dal piccolo, dalle esperienze singolari dei produttori agricoli della provincia di Catania, che provano a costruire un nuovo sistema di relazioni economiche più “giuste”, degli architetti dei Grigioni in Svizzera o del Vorarlberg in Austria, che cercano di incorporare gli insegnamenti della tradizione locale in una nuova visione dello spazio, dei falegnami che tentano di accordare le esigenze della produzione con il ciclo vitale degli alberi. Esperienze marginali, forse, ma che, invece di chiudersi in prospettive di resistenza monastica, si aprono all’urgenza di ridefinire lo “spazio tra” l’intervento e l’ambiente, quindi il luogo vivo delle relazioni umane. Piccole, proprio come il cinema di Marchais che non ha nulla di “visibilmente” straordinario, non si fissa sulle belle forme di un dispositivo da design. Ma che ha la lucidità di porre l’unica questione davvero centrale, l’utopia, e la forza di far emergere le eccezioni dall’ordinario, quelle che indicano la probabilità di una nuova regola, ancora da inventare.

Titolo originale: Nul homme n’est une île
Regia: Dominique Marchais
Distribuzione: Kitchen Film
Durata: 96’
Origine: Francia, 2017

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