Nonostante, di Valerio Mastandrea

Aleggia lo spettro della morte, eppure non si tratta di un film lugubre. Tutt’altro. C’è un’urgenza di vita irriducibile e la conferma di un cinema fuori dagli schemi. VENEZIA 81. Orizzonti

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Nonostante è un altro film perfetto per questi tempi sospesi che abbiamo cercato di raccontare nell’ultimo numero del nostro magazine, Sentieriselvaggi21st. L’ulteriore tassello di una lunga serie di titoli che si confrontano con la condanna o l’urgenza di una sospensione, “un diverso modo di vivere il tempo, di guardare o sentire”. Che sia una difesa, La storia è esile, se vogliamo. O quanto meno, non ha bisogno di essere svelata, se non per pochi cenni che bastino a dare il senso di un mondo e di un’atmosfera. Un gruppo di personaggi senza nome trascorre le sue giornate tra le corsie di un reparto d’ospedale. Si scoprirà ben presto di cosa si tratta, quale condizione stanno affrontando. Ciò che conta è che nelle lunghe giornate passate insieme, questi personaggi costruiscono una specie di famiglia alternativa, condividono timori e speranze, creano legami che disegnano un’altra ipotesi di esistenza. Il rischio, ovviamente, è che questa nuova dimensione rappresenti una specie di rifugio, una zona di sicurezza in cui stare al riparo dalla vita “vera”, quella che si agita dento e fuori, fino a consumarsi.

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Se già Ride, il film d’esordio, ci era sembrato un “oggetto inclassificabile”, Nonostante conferma come il cinema di Valerio Mastandrea sia refrattario a qualsiasi collocazione negli schemi e nelle forme abituali della produzione italiana contemporanea. Perché, a parte la commistione di registri e umori, si tratta di un viaggio in un’altra dimensione, quasi “ultraterrena”, dove il fantastico però non è solo un pretesto per rifugiarsi in una bolla distante dal mondo. No. Diventa la chiave per provare a raccontare la vita e tracciare un personalissimo percorso sentimentale ed emotivo. Torna alla mente l’After Life di Kore-eda, quel limbo in cui i morti sono chiamati a scegliere il ricordo che li accompagnerà nell’aldilà. Anche qui, infatti, è questione di ricordi da trattenere e difendere disperatamente. Ma quest’atmosfera fantastica, su cui si innesta una sorta di parabola, non può non far pensare come precedente più immediato a The Place di Paolo Genovese, dove era proprio Valerio Mastandrea l’uomo misterioso che regolava le sorti dei suoi interlocutori. Eppure, in Nonostante siamo lontani dalle pesantezze retoriche dell’apologo moralista. Qui conta il cuore prima della testa, la fatica del percorso e dell’esperienza prima dei programmi di scrittura. Il tocco è più lieve, viscerale ma tenero. Ed è capace di sfiorare con delicatezza alcune questioni dolorosissime, tutto un vissuto, un grumo di ricordi e affetti, di paure, di alti e bassi che disegnano l’elettrogramma dei battiti cardiaci. Che vivono più nei silenzi che nelle parole, più negli sguardi degli interpreti, da Lino Musella a Laura Morante, che nelle loro azioni.

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È un film su cui aleggia lo spettro della morte, certo, la linea verticale della malattia. E soprattutto il terrore della perdita definitiva, quello della memoria che trascolora nell’indistinzione dell’oblio. È l’affanno del protagonista, che vuole lasciare una traccia impossibile nel suo nuovo amore e che rivede in questa condanna alla dimenticanza il riflesso di suo padre in riva al mare. Ed è significativo che Mastandrea dedichi il film al padre Alberto, scomparso nel 2014, a riprova di come questi argomenti non siano delle semplici tesi astratte. Eppure, nonostante questo, non si tratta di un film lugubre, funerario. Tutt’altro. Sin dalla scena iniziale, in cui Mastandrea attraversa gli spazi dell’ospedale in un movimento continuo che sembra suggerire le traiettorie di un musical, il film è animato da uno slancio, da un’urgenza di vita irriducibile. Quando nell’ultima scena, il medium involontario Giorgio Montanini chiede “Da dove comincio?”, Dolores Fonzi, da poco risvegliatasi dalla sua bolla, risponde: “Conviene sempre dalla fine”. Perché l’epilogo è fondamentale, sì, ma poi occorre risalire nella storia, ritrovare tutto un flusso infinito di cose, di sensazioni ed emozioni, di sentimenti accolti o fuggiti. È chiaro che in questo flusso si possono perdere le coordinate, gli equilibri, il baricentro. Ma è così che va la vita, forse. Va oltre la possibilità e la volontà di un controllo, oltre le difese e le abitudini. Chiede ogni tanto, l’assunzione di un rischio, un salto in lungo che assomiglia a un salto nel vuoto. Anche con l’affanno, con la disperazione, la paura. Qualcosa da fare, anche se non si sa esattamente il motivo, solo per rispondere all’imperativo di un sentimento. Ed è esattamente il rischio che si prende Valerio Mastandrea. Il suo film può mostrare ingenuità, difetti, impasse, giri a vuotoa ha il coraggio e la sensibilità di liberarsi, di volare in alto. Di tornare a vivere a cuore aperto.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
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